Parrebbe che anche quest’anno ci siamo liberati dall’angoscia del blue Monday che canonizza il terzo lunedì di gennaio. Sono comunque giorni penosi questi, anche se Giovanni Papini scriveva che “è certo la primavera la stagione più triste dell’anno, incespicante fra la bianca severità dell’inverno e la focosa maestà dell’estate” le corte, severe giornate di gennaio non aiutano a rallegrare l’umore. Purtroppo però i giorni son penosi non a causa del buio sovrastante, né del primo impacciato freddo, non è l’influenza H1N1 o l’indomito Covid, non è neppure la notizia che il fantasma del PD abbia scelto per il loro conclave un hotel di lusso a Gubbio, non sono le lettere di Olindo ai Tg per spiegare la sua innocenza, non sono le interviste agli elettori dell’Iowa di Trump che sfidando i -28 gradi, non è perché Salvini debba sacrificarsi a non candidarsi alle europee per riuscire a rimanere ministro, non è per quella povera disgraziata di ristoratrice che forse colpevole di aver generato false recensioni come comunemente fa gran parte dei suoi colleghi non ha retto la shitstorm seguita dallo zelante interrogatorio di laboriosi carabinieri e ha preferito arrendersi per sottrarsi alla gogna, non è Andrey di 9 anni che separato dalla sua mamma è scappato dalla casa famiglia affidataria per finire la sua breve ingiusta vita travolto da un treno, e non è neanche il Papa che in televisione parla di “cuori” e ammonisce di pregare sì, ma per lui e non contro di lui, non la scimmia clonata in Cina pronta per favorire incredibili progressi nella medicina rigenerativa, non le Tesla che con il freddo eccessivo non riescono a caricare le batterie e rimangono carcasse immobili, non è nemmeno il pensiero di essere tutti colpiti quotidianamente dai frammenti di una ormai conclamata terza guerra mondiale che si dilata su panorami imprevedibili, neanche la famigerata patrimoniale sventolata ogni volta che i sondaggi prevedono un calo dei consensi, non è perché al bar per consumare in piedi un mini panino e un succo di frutta mi chiedono 8 euro e 20. No, il blues di gennaio non è procurato da tutto ciò. Perché questa serie di avvenimenti fa semplicemente parte della grande complessità del nostro mondo. C’è invece qualcos’altro di terribilmente pericoloso e incontrollabile che si diffonde per esplodere e sommergerci di tristezza: è la violenza subdola e selvaggia che ormai pervade le nostre esistenze anche se ci eravamo illusi di averla sconfitta attraverso il lungo processo di civilizzazione. I rigurgiti istintuali, le prepotenti “pance” di una specie intelligente che per secoli si è evoluta nel tentativo di creare una civiltà migliore, più pacifica, buona e giusta riaffiorano brutalmente per farci regredire a esseri primordiali nei quali l’istinto e l’aggressività deflagrano con la forza devastatrice della bomba all’idrogeno che tanto temiamo. L’amarezza che ci invade nasce dall’osservazione di quell’individualismo arrogante dell’“io sono fatto così”, del soggettivismo che rifiuta qualsiasi oggettività al grido di “se io la vedo così, così è”, della presunzione senza capacità critica, dell’aggressività ostentata come se il mondo intero fosse un nemico da combattere, dell’eclissi dell’empatia e della compassione e quindi dell’umanità. La tristezza la provoca il pensiero che un uomo che imbraccia una motosega possa diventare presidente, un altro che probabilmente lo ridiventerà che crede che “alle donne, se sei ricco e famoso puoi fare di tutto”; l’angoscia ci inonda di fronte al numero smisurato di donne uccise ogni giorno a causa di uomini “imbestialiti”, impreparati a essere rifiutati o anche soltanto contraddetti e che non potendo più trascinare le femmine tirandole per i capelli risolvono il problema con una “soluzione finale”, scoppia l’afflizione di fronte agli urli e agli starnazzi di una classe politica incapace di affermare le proprie idee e la propria integrità perché troppo indaffarata a negare quelle altrui e a rincorrere i consensi, è causa di sconforto l’esercito dei digitali scatenato nella sua crudeltà e nei commenti brutali, con gli smartphone come mazze per poter colpire i bersagli nel disperato tentativo di sfuggire al loro peggiore incubo: essere esclusi e non contare più nulla in una logica ispirata al profetico Sartre nella quale “l’inferno sono gli altri” e se gli altri decidessero di ignorarli loro non esisterebbero più. È stato coniato anche un acronimo per identificare questa ossessione, è FOMO e cioè “fear of missing out”, il terrore di esser messi fuori, e così, proprio come avrebbe reagito un essere preistorico di fronte a un mammut, l’unica salvezza è l’attacco. Questa aggressività metastatica irrompe nel nostro quotidiano, ci tormenta ogni volta che un automobilista ci mostra il dito medio, quando ci sbattono in faccia la porta dal fornaio, se l’impiegata del Cup parla al telefono sprezzante della fila. Altro che blue Monday, se è vero che siamo tutti responsabili di ciò che non si è saputo evitare forse è arrivato il momento di fermarci e cercare di capire in una prospettiva più ampia dello schermo di un telefono o di un qualsiasi device a nostra disposizione cosa ci stia succedendo davvero.