Cronaca

PRIMA PAGINA – I vicini di Erba e il processo di revisione sulla strage

di Rita Cavallaro -


La strage di Erba, i vicini assassini e quella revisione che punta alla vendetta degli spacciatori. Il nuovo processo a Olindo Romano e Rosa Bazzi, condannati definitivamente all’ergastolo per il massacro dell’11 dicembre 2006, getta ombre sulla verità giudiziaria di uno dei delitti più efferati d’Italia e divide l’opinione pubblica tra colpevolisti e innocentisti. Perché nonostante 26 giudici in tre gradi di giudizio non abbiano mai avuto alcun dubbio sulla colpevolezza dei coniugi Romano, il team difensivo della coppia è riuscita a fornire elementi nuovi e testimoni mai ascoltati che potrebbero riscrivere gli eventi di quella terribile sera, quando i pompieri, accorsi alla corte di via Diaz convinti di dover spegnere un incendio, scoprirono l’orrore. Mario Frigerio, 65 anni, riverso sul pavimento del pianerottolo del primo piano mentre soffoca nel sangue con un profondo squarcio alla gola. Oltre la porta dell’appartamento, il buio è illuminato dalle fiamme che avvolgono il corpo di Raffaella Castagna, 30 anni e padrona di casa, massacrata con decine di coltellate e sgozzata.

Poco più in là sua madre Paola Galli, di 70, ammazzata con le medesime modalità. I soccorritori si fanno largo nel denso fumo che si propaga da una serie di inneschi appiccati in più punti e, quando arrivano nel salotto, sono assaliti dalla disperazione: sul divano, supino e con la faccia imbrattata dal sangue, c’è il piccolo Youssef Marzouk, il figlioletto di due anni di Raffaella. I mostri che hanno commesso la mattanza non hanno risparmiato neppure il bambino, sgozzato come un capretto. Mentre Frigerio, in condizioni disperate ma ancora vivo, viene portato d’urgenza in ospedale, gli inquirenti notano l’impronta insanguinata di una mano sul muro e seguono la scia di sangue fino al piano superiore. Lì l’ultimo corpo, quello della moglie di Frigerio, Valeria Cherubini, 55 anni, martoriata da decine di fendenti e sgozzata. Nel cortile di via Diaz raduna tutti gli abitanti del complesso, attoniti e all’addiaccio. Tutti tranne Olindo Romano e Rosa Bazzi, gli inquilini del piano terra costantemente in lite con Raffaella Castagna e con il marito Azouz Marzouk, tunisino di 26 anni, finito in carcere per reati legati alla droga e uscito poco prima grazie all’indulto. Lui, Azouz, non si trova e diventa il sospettato numero uno, ma solo per una notte perché il ricercato ha un alibi di ferro: è in Tunisia, non può aver compiuto il massacro.

Olindo e Rosa, invece, un alibi sembra vogliano crearselo. La coppia fa capolino nel caos della corte e, senza che nessuno lo chieda, mostra ai carabinieri lo scontrino del McDonald’s che piazza gli inquilini del piano terra a cena fuori all’ora del delitto. In realtà l’orario sulla ricevuta del ristorante è così ampio da non escluderli affatto. E quello strano comportamento è forse il primo tassello dell’inchiesta che li porterà dietro le sbarre. Sulla scena del crimine non ci sono tracce dei coniugi Romano, ma per gli inquirenti è irrilevante perché il fuoco può averle cancellate. Neppure in casa dei sospettati ci sono elementi utili a incastrarli, ma l’appartamento è stato tirato a lucido da Rosa, maniaca delle pulizie. La traccia, invece, la trovano sul battitacco della macchina di Olindo, dove una piccolissima macchia di sangue reca il dna di Valeria Cherubini. E quando Mario Frigerio, dal suo letto d’ospedale, passa da un aggressore olivastro a fare il nome di Olindo Romano il cerchio si chiude. I coniugi vengono arrestati e, messi davanti all’evidenza, confessano. “Ho colpito la Raffaella subito, ho colpito la madre subito. Mia moglie è corsa dal bambino, poi mia moglie è ritornata e mi ha dato una mano a finire la mamma della Raffaella. Poi siamo passati sulla Raffaella e abbiamo finito anche lei”, racconta Olindo.

A quel punto appiccano il fuoco, ma il fumo richiama i Frigerio, che scendono dai Castagna. L’aria irrespirabile costringe gli assassini ad aprire la porta, trovandosi davanti Mario e Valeria. “Ho preso Frigerio, il primo che ho trovato davanti…”, continua la confessione, “devo averlo colpito non con i pugni ma con la stanghetta di ferro. Lui è caduto e io mi sono gettato su di lui tenendogli una mano sul volto. Ho lasciato la stanghetta e ho preso il coltellino che avevo in tasca. E l’ho colpito alla gola. Mi ricordo che è rimasto lì per terra. C’era mia moglie lì da parte sulla signora Valeria e so che sono andato là con il coltellino a dare una, due coltellate sulla testa”. Si dirigono poi in lavanderia, si spogliano e fanno un fagotto con vestiti insanguinati e coltelli, che gettano nel cassonetto che Olindo, da operatore ecologico, sa che verrà svuotato per primo. Rosa, inoltre, in un colloquio con lo psichiatra Massimo Picozzi, scoppia in un lungo pianto, al culmine del quale accusa falsamente Azouz di molestie sessuali, l’ultimo abuso di quella famiglia invadente in grado di far scattare la furia omicida. Il caso è chiuso, pensano gli inquirenti.

E invece è solo l’inizio di una battaglia infinita, perché Olindo e Rosa ritrattano e accusano i carabinieri di averli indotti a confessare, adducendo addirittura la promessa di una cella matrimoniale. Non convincono né i giudici del primo grado, né quelli dell’appello, né la Cassazione, che sentenziano all’unisono l’ergastolo. Negli ultimi 17 anni, però, il team difensivo ha lavorato senza sosta, per mettere insieme i tasselli, le incongruenze e le falle nelle analisi sulla scena del crimine, tanto da trovare testimoni mai ascoltati, che puntano alla pista della vendetta degli spacciatori contro Azouz, in una violenta faida di droga per il controllo delle piazze.


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