Strage di Erba, ora spunta la pista della droga
Se Olindo e Rosa fossero innocenti, chi è l’assassino? È la domanda ipotetica che serpeggia da quando la Corte d’appello di Brescia ha accolto l’istanza di revisione della sentenza e convocato in udienza, per il prossimo primo marzo, i due condannati per la strage di Erba, la mattanza dell’11 dicembre 2006 quando in un appartamento della corte di via Diaz si scatenò un inferno di fuoco per coprire le tracce di quattro terribili massacri.
Raffaella Castagna e il suo bimbo Youssef Marzouk, la madre Paola Galli e la vicina di casa Valeria Cherubini furono ammazzati a coltellate e finiti con uno squarcio alla gola, mentre il marito della Cherubini, Mario Frigerio, sopravvisse allo sgozzamento grazie a una malformazione della carotide. Fu quest’ultimo a posare la pietra tombale sul caso, quando indicò in Olindo il mostro responsabile del massacro, e gli investigatori, che avevano già una traccia di dna di Valeria estrapolata dal sangue sul battitacco dell’auto dei Romano, si accaparrarono perfino la confessione di Olindo e Rosa, poi ritrattata adducendo presunte pressioni dei carabinieri.
I coniugi non si sono mai arresi nel proclamarsi innocenti durante i diciassette anni di carcere, in cui il team difensivo ha effettuato nuove indagini, elaborato analisi investigative della scena del crimine e scovato testimoni mai ascoltati, che hanno aperto il campo a piste alternative sulla responsabilità dei delitti. Tra queste, quella più credibile, è che la strage sia maturata nell’ambito del giro di droga nel quale era coinvolto il tunisino Azouz Marzouk, marito di Raffaella e padre di Youssef, sospettato nelle prime ore dei delitti e immediatamente scagionato per l’alibi di ferro, visto che si trovava in Tunisia la sera della mattanza.
Marzouk, comunque, per quei reati legati agli stupefacenti era finito in carcere, da cui era uscito grazie all’indulto poco prima che la sua famiglia fosse massacrata. Durante la detenzione, però, il tunisino sarebbe stato minacciato di ritorsioni da un’altra banda rivale, tanto che avrebbe chiesto a un altro detenuto, rilasciato, di proteggere Raffaella e il piccolo Youssef. Senza contare che la pista della cocaina è contenuta pure nel racconto di uno dei superteste mai ascoltati durante i processi e indicato dalla difesa tra gli “elementi nuovi” per la revisione. Si tratta di Abdi Kais, tunisino e amico di Azouz, che era stato perfino ospite di casa Castagna per un lungo periodo.
Kais ha parlato di gravi litigi avvenuti prima della strage, risse per droga culminate addirittura nell’accoltellamento del fratello di Azouz. Inoltre ha detto di aver ricevuto l’ordine di eliminare alcuni elementi del gruppo rivale e che nell’abitazione della Castagna venivano custoditi i proventi dello spaccio di droga. Una versione, quella di Kais, che porterebbe a un movente più compatibile con la ferocia della strage, che a quel punto si legherebbe a un regolamento di conti e non ai dissidi condominiali che avrebbero spinto Olindo e Rosa a impugnare i coltelli e infierire su cinque persone. Racconta Kais: “Nella casa di Raffaella c’era sempre del denaro nascosto. E oggetti scambiati con la droga.
Messi in cantina”. Parla della guerra per bande tra il gruppo di tunisini vicini ad Azouz e quello dei marocchini che spacciava tra Erba e Merone. “In più di un’occasione c’era un ragazzo, un tunisino, si chiama Amer, si recava presso la cantina e nascondeva sempre qualche quantitativo che aveva addosso, era sempre cocaina. Quei marocchini ci è capitato più volte che mancava della droga dai nascondigli che era quel bosco di fronte a Merone, perché ci pedinavano”. La rivalità sarebbe sfociata in una violenta rissa con accoltellamento da parte dei marocchini ai danni di Kais, del fratello e di due cugini di Azouz.
Inoltre l’episodio avrebbe scatenato una faida tra i due clan, che potrebbe essere culminata nella strage, tanto più che, nella sua prima descrizione, Frigerio parla dell’aggressore come di un uomo olivastro. Eppure sia la pista dei tunisini e dei marocchini di Merone, sia quella di un gruppo di albanesi di Ponte Lambro attivo nella zona sono state approfondite nel corso dell’inchiesta, ma non hanno portato ad alcuna risultanza investigativa. Anzi, il movente del delitto maturato nell’ambiente dello spaccio è stato del tutto escluso dagli inquirenti. Dunque, se i nuovi elementi cavalcati dalla difesa dovessero portare a rivedere la condanna dei Romano, allora, dopo così tanti anni, sarebbe improbabile poter raccogliere indizi sufficienti per individuare i protagonisti di quel giro di droga. E i veri assassini potrebbero rimanere nell’ombra così come la strage di Erba diventerebbe uno dei casi irrisolti d’Italia, alla stregua di via Poma ed Emanuela Orlandi.
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