Anna Edes, torna di attualità il romanzo migliore di Kosztolányi
di ALESSANDRO STADERINI BUSÀ
L’armistizio siglato, l’economia schiantata, i valzer finiti. Dai rottami dell’Impero austro-ungarico sconfitto nella Prima Guerra Mondiale nasceva così la Repubblica Sovietica d’Ungheria. Unico esempio di rivoluzione, dopo quella russa, ad attecchire sul suolo europeo, seppur per pochi mesi. La collettivizzazione delle terre fece rivoltare le campagne, la nazionalizzazione dell’industria procurò stesso effetto nelle città, il controllo dei prezzi generò inflazione.
Ed al suo padrino, Béla Kun, ex giornalista con smanie da conduttore della dittatura del proletariato, non restò che sfuggire al furor di popolo sulle ali d’un biplano. All’epoca, Dezső Kosztolányi (1885-1936) già viveva nella capitale ed era apprezzato come autore. Volto serio ma simpatico, elegante eppure dal piglio informale, immancabile il cravattino al collo. Gloria nazionale in patria, da noi nemmeno lo si conoscerebbe senza la bella pubblicazione di Edizioni Anfora del suo romanzo migliore, Anna Édes.
Una giovane cameriera, taciturna e infaticabile, assunta dai coniugi Vizy, scampati all’esproprio del loro palazzetto signorile. Un tessuto sociale strappato e rammendato, in cui dapprima i servi sono messi sotto scacco dai signori, dunque i signori sono messi sotto scacco dai rivoluzionari, infine finiscono tutti sotto il tacco della soldataglia rumena corsa ad occupare il paese. La visione dostoevskijana per cui gli uomini sono fatti in modo da doversi necessariamente tormentare a vicenda, è confermata. Unica soluzione la misericordia del medico Movitzer, il più umano dei personaggi, disposto fino all’ultimo a fare un passo incontro al mistero di Anna “la dolce” (édes significa dolce in ungherese).
Ma Anna chi è? E’ la sempliciotta di campagna? O è la diciannovenne glaciale e psicotica? L’agnello sacrificale? O la Giuditta proletaria contro l’Oloferne borghese? Se tanta enigmaticità è incarnata dalla protagonista, stesso dicasi per l’autore il quale, ateo dichiarato, nella storia si affida a quanto lui stesso definì un “messaggio cristiano primitivo”. Lontano però dall’utopia del Tolstoj anziano, l’ungherese ha la lucidità di riconoscere il bivio al quale è giunta la società del tempo: da un lato la via di un totalitarismo rosso per il quale sarà prudente levare dalla parete di casa il crocifisso, dall’altro la via di un diverso ordine di materialismo che, mantenendo un’apparenza libertaria, avrà per chiesa una banca, per officianti i banchieri e per divinità il denaro.
Dettagliato. Claustrofobico. Sensuale. Ironico e grottesco. Kosztolányi adotta una trama lineare, in cui sta nascosta una complessità di dettagli a richiamare simboli e concetti più alti. Così i riflessi luminosi che Anna guarda sul muro fuori la finestra, sono citazione delle ombre del mito platonico della caverna: all’inizio pensò che fosse una stella, ma era solo una lampada, una volgare lampada a olio. E in quest’immagine ecco la chiave d’interpretazione che ci svela l’opera di Dezső Kosztolányi non soltanto come romanzo psicologico o sociale, ma quale indagine sulla percezione del mondo e della realtà da parte dell’uomo. Conta solo il libro che si pianta come un coltello nel cuore del lettore – ebbe a dire un pensatore, rumeno come gli invasori di quella povera Budapest sfortunata. Così farà Anna Édes.
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