L’ombra Covid sugli Epstein files, il giallo che scuote l’America
epa07766214 (FILE) - United States Attorney for the Southern District of New York Geoffrey Berman (R) points as he speaks during a news conference about the arrest of American financier Jeffrey Epstein in New York, USA, 08 July 2019 (reissued 10 August 2019). US media reported that Epstein was found dead in his prison cell on 10 August 2019 morning in the MCC Manhattan while awaiting trial on sex trafficking charges. An official confirmation by authorities of his death is pending. EPA/JASON SZENES
E negli Epstein Files spunta perfino il Covid-19. I legami di Jeffrey Epstein, infatti, si estendono al cuore della ricerca sulla pandemia e coinvolgono una delle figure chiave della storia dell’origine del coronavirus che ha sconvolto il mondo. Si tratta del virologo Nathan Wolfe e della sua azienda californiana Metabiota contractor del Pentagono, di cui il figlio del presidente Usa Joe Biden, Hunter, è proprietario del 13 per cento delle quote societarie.
Il dottor Wolfe è stato inoltre consulente per Contagion, il film-presagio del 2011 che racconta la storia di un nuovo virus letale, che da un mercato della Cina, tra pipistrelli e polli, si diffonde rapidamente a livello globale, uccidendo milioni di persone. Lo stesso scenario divenuto realtà otto anni dopo. Senza contare che, nel libro di Wolfe intitolato “The viral storm”, il virologo allude all’esistenza di agenti patogeni creati in laboratorio, il cui andamento rispecchia proprio il percorso evolutivo del Covid-19. In quel libro, Wolfe ringrazia pubblicamente Epstein, che insieme ad altre quindici persone ha contribuito e finanziato l’attività del virologo, che con la sua Metabiota ha avviato in tempi non sospetti un “progetto scientifico” relativo a biolaboratori in Ucraina.
L’azienda è stata accusata dalla Russia della creazione di armi batteriologiche, tra le quali il Sars Cov2, e della costituzione di laboratori segreti sul territorio ucraino, dove mandare avanti il lavoro sulle malattie che causano pandemie da utilizzare come armi. Più di un’accusa, visto che le circostanze troverebbero riscontro in alcune mail inviate, nell’aprile del 2014, dalla vicepresidente di Metabiota, Mary Guttieri, a una società di gas ucraina, la Burisma. Guttieri, a due mesi dall’annessione della Crimea da parte di Mosca, scriveva: “Come promesso, ho preparato il promemoria allegato, che fornisce una panoramica di Metabiota, il nostro impegno in Ucraina e di come possiamo potenzialmente sfruttare il nostro team, le nostre reti e le nostre idee per affermare l’indipendenza culturale ed economica dell’Ucraina dalla Russia e la continua integrazione in Società occidentale”.
Il finanziamento ai biolaboratori è dimostrato dai bilanci di spesa del governo Usa, che in quello stesso anno garantirono a Metabiota 23,9 milioni di dollari, dei quali 307.091 per “progetti di ricerca ucraini”. Senza contare i 5,5 milioni che Wolfe ha ricevuto nel 2008 da Google per “prevenire la prossima pandemia”. E il cofondatore di Google Segey Brin è tra i frequentatori dell’isola del pedofilo. Poi i soldi alla ricerca garantiti da Epstein a Wolfe, il quale aveva fondato il progetto Terramar per la salvaguardia degli oceani con Ghislaine Maxwell, l’ex fidanzata del miliardario condannata a vent’anni di prigione per aver adescato minorenni nel giro di pedofilia. Il nome di Wolfe non è l’unico a far emergere collegamenti tra la cerchia di Epstein e il Covid-19. Perché nella lista delle persone ospitate sull’aereo privato del miliardario compare pure Gayle Smith, coordinatrice globale Covid dell’amministrazione Biden, presso il Dipartimento di Stato Usa, da aprile a novembre 2021.
Già consigliera particolare dell’ex presidente Usa Barack Obama e poi di Biden, a volerla in quel ruolo fu il segretario di Stato Anthony Blinken. Il patrigno di Blinken, Samuel Pisar, era l’avvocato di Robert Maxwell, il magnate dei media britannici padre di Ghislaine e spia del Mossad, annegato nel 1991 in circostanze tutt’oggi misteriose, mentre era a largo con lo yacht. Così come alimentano ancora dubbi le circostanze del suicidio di Epstein, in quella cella del carcere di Manhattan, dove era in attesa del processo. Quel 10 agosto 2019 il finanziere del jet set fu trovato con un cappio di stoffa al collo, le due guardie incaricate di controllarlo si erano addormentate e le telecamere non avevano funzionato. E ora suo fratello Mark Epstein accusa: “Jeffrey è stato ucciso. Il danno alla zona del collo è compatibile con una morte per strangolamento. È spaventoso pensare che si può essere uccisi in prigione dal governo”. Nonostante l’autopsia abbia confermato l’ipotesi del suicidio, il segno sulla parte bassa del collo, anziché nella alta tipica dell’impiccagione, insieme alla rottura profonda dell’osso ioide lasciano aperta la congettura che Epstein sia stato ammazzato.
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