Non solo Houthi, il rapporto tra l’Italia e il mar Rosso
Frame di un video diffuso da Israel Defense Forces, 01 novembre 2023. ANSA/ UFFICIO STAMPA/ ISRAEL DEFENSE FORCES +++ ANSA PROVIDES ACCESS TO THIS HANDOUT PHOTO TO BE USED SOLELY TO ILLUSTRATE NEWS REPORTING OR COMMENTARY ON THE FACTS OR EVENTS DEPICTED IN THIS IMAGE; NO ARCHIVING; NO LICENSING +++ NPK +++
di GIUSEPPE MANCINI – Una volta elencato tra i Sette Mari dell’antichità il mar Rosso era la via che collegava il mondo mediterraneo ed europeo al mondo orientale passando per le coste dell’Arabia Felix fino ad arrivare in India. Oggigiorno, invece, la maggior parte degli italiani lo ricorda solamente per la località turistica di Sharm el-Sheik; eppure, questo stretto ma lungo mare rappresenta una delle arterie vitali del commercio mondiale. L’apertura nel 1869 del canale di Suez permise di ridurre i tempi di navigazione verso l’Asia e la circumnavigazione dell’Africa non fu più necessaria: il mar Mediterraneo e l’Italia si ritrovavano dopo quasi quattro secoli ad essere percorsi da importanti e lucrosi traffici commerciali.
Molti furono gli imperi e le nazioni che dettero la priorità alla sicurezza della navigazione in questo mare. Tuttavia, ai giorni nostri quella sicurezza è stata data per scontata dalla maggior parte della popolazione italiana, che vive ancora nel pieno dello spirito economicistico della globalizzazione. Infatti, quando il 23 marzo 2021 la Ever Given, una portacontainer, bloccò il canale di Suez per alcuni giorni l’opinione pubblica italiana si svegliò, come da un torpore, e si riaccorse dell’importanza economica del mar Rosso. Tuttavia, furono gli attacchi degli Houthi, a partire da un sequestro di nave il 19 novembre 2023, a riaccendere l’interesse per l’importanza strategica di questo mare, in particolare sullo stretto di Bab el-Mandeb, che separa il mar Rosso dal golfo di Aden e quindi dall’oceano Indiano.
Lo stretto di Bab el-Mandeb funge da collo di bottiglia per i traffici marittimi e ci si affacciano quattro stati: l’Eritrea, Gibuti e la Somalia dal lato africano; lo Yemen dalla penisola arabica. Quest’ultimo era conosciuto dagli antichi romani con il nome di Arabia Felix, in quanto era considerato un territorio ricco in termini di commerci, di spezie e di aromi, in particolare l’incenso. Tuttavia, dal 2014 nello Yemen è in corso una guerra civile che oltre ad essere caratterizzata da vari motivi politici, molto forte è anche l’accezione religiosa. Gli Houthi, che controllano la capitale Sana’a, sono infatti principalmente musulmani sciiti, mentre le altre fazioni o sono formalmente sunnite o sono comunque formate dalla componente sunnita della popolazione yemenita, maggioritaria nel paese dai tempi dell’unificazione dello Yemen nel 1990.
Tuttavia, il fatto che gli Houthi siano sciiti non è una caratteristica da sottovalutare. Infatti, gli ha permesso di ricevere fin da subito il supporto politico e militare dell’Iran, cioè della maggiore potenza sciita in Medio Oriente nonché acerrima nemica di Israele. Di conseguenza, non sono da considerarsi casuali gli attacchi degli Houthi nel mar Rosso in correlazione al riaccendersi della questione palestinese dello scorso ottobre. L’Iran si è sempre opposto ad Israele ed ha sempre alimentato gruppi, come gli Hezbollah in Libano, che oltre ad avere una componente sciita avessero anche una componente antisionista.
Inoltre, la crisi scatenata nello stretto di Bab el Mandeb è importante per gli europei, in particolare noi italiani, perché rischia di mettere in crisi il concetto di globalizzazione che è uscito fuori dalla caduta del muro di Berlino nel 1989 in poi. Di fatto, l’aumento della pericolosità dell’area del mar Rosso non significa solamente che le nostre vacanze a Sharm el-Sheik siano in pericolo, ma che a rimetterci principalmente sia il nostro portafoglio. Infatti, un blocco, anche parziale, al transito delle merci lungo il mar Rosso significherebbe un aumento dei prezzi delle merci che provengono dai mercati asiatici. Il traffico marittimo proveniente da Oriente rischierebbe di dover essere dirottato e costretto a circumnavigare il continente africano: si avrebbe quindi un aumento dei costi riguardo il trasporto e di conseguenza un aumento dei prezzi sulle importazioni. Inoltre, la chiusura del mar Rosso porterebbe sul lungo termine un vantaggio ai porti che si affacciano sull’oceano Atlantico e tutto ciò sarà a scapito dei porti che si affacciano sul mar Mediterraneo, e quindi, italiani.
Infine, non sarebbe infatti da escludere uno scenario in cui la nostra marina, già presente nell’area, dovrà essere impiegata nel pattugliamento delle acque del mar Rosso in maniera permanente in quanto rappresenta grandi interessi economici e strategici per il nostro paese. Allo stesso tempo, però, ci immetterebbe ancor di più come potenza esterna all’interno dello scacchiere mediorientale e ciò comporterebbe conseguenze a livello geopolitico ed un importante schieramento di campo, che in questo caso tenderebbe verso gli Stati Uniti, in contrapposizione ad Iran (e Russia).
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