Il Prometeo di Nono e la nostalgia del futuro
VENEZIA, 25-8-84- LUIGI NONO MENTRE PROVA LA SUA OPERA IL " PROMOTIO " . ANSA/clf
Il ritorno di un’opera discussa: per celebrare il centenario della nascita di Luigi Nono la Biennale di Venezia presenta il riallestimento di “Prometeo. Tragedia dell’ascolto”, dal 26 al 29 gennaio nella chiesa di San Lorenzo, dove avvenne la prima assoluta con la direzione di Claudio Abbado.
La riedizione avrà per protagonisti l’Orchestra di Padova e del Veneto diretta da Marco Angius e la messa in scena di Antonello Pocetti e Antonino Viola. Considerata da molti una delle punte più alte del teatro musicale del dopoguerra, “Prometeo” è il culmine della ricerca avviata da Nono verso la fine degli anni Settanta del secolo scorso sul senso del fare musica e sullo scopo stesso dell’arte.
Alla sua “prima” le voci giudicanti non furono unanimi: dopo una sua rappresentazione Paolo Isotta affermava: «Signore e signori la musica è finita», ponendo il suo epitaffio sulla musica contemporanea, mentre Massimo Mila sulle pagine della Stampa nell’ottobre del 1988 ricordò «quell’impressione di staticità un po’ uniforme che non posso negare di aver provato all’ascolto di “Prometeo”». «Tragedia composta di suoni, con la complicità di uno spazio», la definì dal canto suo Luigi Nono, ed è certo che al suo esordio “Prometeo” nel 1984, nella Chiesa di San Lorenzo, fu un evento che fece molto discutere, vedendo coinvolti nella creazione e nell’esecuzione, oltre a Luigi Nono, alcuni importanti protagonisti della nostra cultura come Claudio Abbado alla direzione dell’orchestra, Emilio Vedova e Renzo Piano per l’allestimento, Massimo Cacciari per il testo, con la regia del suono di Hans Peter Haller e Alvise Vidolin.
Lo spettatore “normale” che assisteva non riusciva a cogliere alcuna azione o scena, nessun segno che scandisse il passare del tempo. Soltanto musica composta da suoni e silenzi che legavano il tutto, in un ambiente costruito da Renzo Piano in modo da obbligare all’ascolto e imporre il percorso interiore voluto dal creatore. Due ore e un quarto di concentrazione senza alcun intervallo, ascolto che diventava navigazione interiore fra isole e miti come prescritto dalla disposizione delle sue nove sezioni, citando Hölderlin, Eschilo, Goethe, Nietzsche, Rilke, Benjamin. Roba da far impazzire dei neofiti, che si sarebbero potuti comportare come l’Alberto Sordi de “Le vacanze intelligenti”.
L’opera ha avuto nel tempo diverse riedizioni, ma in nessuna occasione nel luogo originario, la Chiesa di San Lorenzo, per cui era stata concepita. Perchè fece tanto discutere? Senz’altro perché era l’ultimo, eclatante prodotto di una visione del mondo che divideva la cultura italiana. Per Nono, come a suo tempo per Maurizio Pollini e Claudio Abbado, la musica era apertura verso l’altro. Più volte i tre musicisti avevano insistito sul suo valore educativo, etico e politico. Per loro esisteva una profonda interazione tra la composizione di un brano e la sua realizzazione, poiché dalla constatazione che la musica è suono deriva l’importanza dell’aspetto esecutivo.
La lettura di un’opera del passato è influenzata dal tempo in cui viene realizzata. Forte allora è il legame tra musica e storia come evidenziò Nono in una conferenza del 1959 dove affermò la necessità di collocare sempre l’arte in un contesto: un compositore non può scrivere in base a principi scientifici che prescindano dalla propria epoca. In pratica il ruolo di un pianista o di un direttore d’orchestra è quello di fare dialogare due periodi storici: si deve parlare del proprio tempo attraverso un’opera del passato e parlare del valore storico della musica vuole dire anche affrontare i problemi della sua funzione e della sua destinazione.
Nono, così come Brecht, riteneva che l’arte non avesse solo un ruolo di critica sociale, ma potesse anche agire sulla realtà contribuendo a formare le coscienze. La musica deve parlare della realtà e per questo richiede la massima attenzione da parte del pubblico. Qual è il tratto principale del suo carattere? Chiedevano i cronisti a Nono: «La nostalgia del futuro», rispondeva. Una battuta che descriveva alla perfezione il temperamento di Nono
Torna alle notizie in home