Il Paese sonnambulo
Un post tratto dal profilo Facebook di Giorgia Meloni: "Voglio fare a ogni singolo italiano auguri di buon Natale. Che sia un Natale di serenità, che sia un Natale di orgoglio. Il governo sta facendo la sua parte per aiutare l'Italia in questa difficile situazione nella quale ci troviamo, ma è importante l'entusiasmo di ciascuno di noi e allora spero che sia un Natale di entusiasmo, un Natale sereno, che siano feste serene". "Voglio rivolgere un pensiero particolare a quegli italiani che anche nei giorni di festa lavoreranno per garantire a ognuno di noi di avere i servizi essenziali: chi lavora nelle Forze dell'ordine, chi lavora negli ospedali, chi è impegnato nelle missioni di pace all'estero. A loro soprattutto, grazie. E - conclude -, auguri Italia". +++ATTENZIONE LA FOTO NON PUO' ESSERE PUBBLICATA O RIPRODOTTA SENZA L'AUTORIZZAZIONE DELLA FONTE DI ORIGINE CUI SI RINVIA+++ NPKMeloni, via Facebook, fa gli auguri di Natale alla nazione: "Auguri, Italia!"
di EDOARDO GREBLO E LUCA TADDIO
Il recente rapporto Censis sulla condizione sociale dell’Italia descrive l’immagine di un Paese “sonnambulo”, in cui i cittadini sono incapaci di reagire e sono “ciechi dinnanzi ai presagi”. Ciò ha spinto alcuni commentatori a sostenere che una rinnovata attenzione alla felicità possa offrire premesse per un percorso di giustizia. L’idea che le misure della felicità dovrebbero essere utilizzate come indicatore della qualità degli assetti sociali e dell’ adeguatezza degli interventi statali è stata al centro della tradizionale economia del benessere.
Alla base di questa proposta sembra esserci l’esigenza di offrire una visione in grado di collocare il desiderio di una società più giusta nella prospettiva di una utopia del possibile, capace di coniugare le ragioni della politica con i desideri personali. Un modo per riproporre una visione di futuro suscettibile di mobilitare individui sfiduciati e disillusi. È difficile dubitare dell’importanza che la felicità riveste nella vita delle persone ed è difficile non prendere atto delle difficoltà cui andrebbe incontro una teoria politico-economica che individuasse nella felicità la norma con cui accertare il benessere.
L’idea di fare della felicità ha controindicazioni. Questa visione può risultare problematica quando la si intenda inglobare in procedure di scelta sociale volte a compiere confronti interpersonali tra i profili di benessere e i vantaggi. Senza comparazioni interpersonali potremmo sapere se la stessa persona sia più felice in una certa condizione o in un’altra ma, non potendo fare confronti, non saremmo in grado di formulare giudizi sugli assetti sociali. Allora, la felicità è un indicatore efficace di valutazione? No, dal momento che la nostra struttura mentale tende ad adattarsi alle circostanze.
Si tratta del fenomeno delle preferenze adattive, che induce persone svantaggiate a venire a patti con la loro condizione sopravvivere. Questa capacità di adattamento a rendere la felicità un criterio inadeguato e che può indurre a trarre conclusioni sbagliate. Essa può portare le persone deprivate a sentirsi felici anche solo per attenuare il loro disagio o sofferenza psicologica, senza che ciò contribuisca a correggere le circostanze sociali che le condannano a una vita precaria.
La condizione di chi conduce un’esistenza segnata dalle privazioni finisce per sembrare molto meno grave di quanto sarebbe se fosse invece misurata in base a criteri più oggettivi. È indiscutibile che il criterio della felicità abbia un ruolo di estrema importanza, ma può portare fuori strada se applicato a livello collettivo. Non comprendere quanto possa essere difficile la condizione di chi vive una vita ai margini solo perché è capace di procurarsi qualche momento di felicità equivale a stroncare sul nascere una possibile politica riformatrice ispirata alle istanze della giustizia sociale. Essere felici quando si vive in una condizione segnata dagli svantaggi è cosa ben diversa dal non soffrirne affatto.
Torna alle notizie in home