Balla fra entusiasmo e malinconia se non puoi il Natale che desideri
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Indossavo ancora i sandali quando negli scaffali dei supermercati sbucavano le prime lucette e gli gnomi con la barba fatta di ovatta, confusi fra le ragnatele e le maschere nere e arancio di Halloween. Sarà stato fine settembre, e probabile che le decorazioni natalizie fossero rimasugli polverosi dell’anno precedente. Guardandomi i piedi nudi ancora abbronzati ricordo che pensai allarmata “Non è possibile, già quasi Natale?”. Come ogni anno la festa che in preda a una psicosi collettiva tutti vorremmo arrivasse e che quando arriva non vediamo l’ora che finisca, sarebbe arrivata.
Non era immaginabile allora che da lì a poco si sarebbe scatenata poco lontano da noi una guerra, che la Meloni sarebbe tornata single, che Pistorius sarebbe stato scarcerato e Greta Thunberg arrestata, che il padre di chatGPT sarebbe stato licenziato, che avremmo visto le croci di David dipinte sulle porte di casa dal vero e non solo nei film, che il centenario highlander Kissinger sarebbe morto anche lui, che saremmo stati testimoni voyeristici di presunte corna fatte e subite. Che la storia ingiusta e orrenda di Giulia sarebbe diventata il detonatore per scoperchiare la violenza di genere attraverso un processo mediatico e popolare condito da chiavi sbatacchiate mentre, purtroppo, altre donne stavano per essere uccise.
Non potevamo neppure prevedere l’enorme quantità di uragani, cataclismi, fenomeni sismici, ondate di caldo o di gelo che avrebbero colpito il nostro pianeta durante l’autunno e che ormai non avrebbero fatto più neppure notizia. Tuttavia quelle lucette tardo settembrine avvisavano dalle loro scatole ammaccate l’arrivo di quel prodigio puntuale e ripetitivo che è il Natale. Puntuale e rassicurante in quanto già prima dell’avvento del cristianesimo si festeggiava l’origine del dio sole: durante il solstizio invernale gli antichi romani temevano che il sole non sarebbe più riuscito a scrollarsi di dosso quella debolezza, così per aiutarlo a riaversi velocemente e non recare danno ai loro raccolti lo si onorava dal 17 al 23 dicembre, fino a che il cristianesimo attraverso il calendario gregoriano non fissò nel 25 dicembre la data della nascita di Gesù.
Gli ebrei, dal 164 a.C., più o meno nello stesso periodo solennizzano Hanukkah accendendo candele speciali, gli ortodossi rimandano la data della nascita al 7 gennaio, comunque festeggiare qualcosa nel periodo più buio dell’anno, almeno nel nostro emisfero, è tradizione che si perpetua nei secoli. Oltre all’aspetto ancestrale Natale è anche festeggiato da 160 stati del mondo su 193 riconosciuti, e grazie alla massiccia e infervorata evangelizzazione messa in atto dalla chiesa cattolica in paesi con storia, clima e cultura diverse quest’idea di far festa il 25 dicembre ha preso piede fino a diventare anche per i convertiti un’affezionata tradizione.
A parte in Corea del Nord dove festeggiare il Natale è proibito e punito con il carcere, in altri paesi non cattolici la celebrazione del Natale, anche se in forme prettamente laiche, è consentita con benevolenza. In Giappone per esempio, dove son buddisti e scintoisti, incoraggiati dalla scaltra catena americana KFC che li ha convinti a “festeggiare il vero Natale americano” la vigilia escono a mangiare pollo fritto , e anche in Arabia saudita i musulmani occidentalizzati dai petroldollari amano parodiare le nostre decorazioni agghindando in modo spropositato i loro edifici. In effetti “Natale” è seducente e struggente al tempo stesso, sprizza entusiasmo che svela malinconia, promette prepotente gioia per lasciarci disillusi, a scervellarsi su cosa fare l’ultimo dell’anno.
Come il sabato del villaggio leopardiano tutto ciò che precede il 25 dicembre è simbolo dell’attesa di una felicità che si rivelerà illusoria, e ogni anno tentiamo disperatamente di salvarci dal “Christmas blues” disseminando frasi a effetto “Il Natale non è più quello di una volta” e ancora “Quest’anno non faccio regali a nessuno” fino al patetico-salutistico “Quest’anno si mangia leggero” nel disperato sforzo di esorcizzare lo stress e le angosce.
Perché lo sappiamo benissimo, alla fine i pranzi e le cene saranno interminabili e niente affatto leggeri, i regali li facciamo anche all’ultimo minuto e se troviamo il negozio chiuso alle 17 e 30 del 24 dicembre ci infuriamo, perché magari è vero che il Natale non è più quello di una volta, ma solo perché noi non siamo più quelli di una volta, infine perché se Natale non ci sembra Natale non è certo colpa sua. Un poeta greco, laico, ha scritto una poesia che vorrei fosse un regalo per tutti. Lui si chiama Costantinos Kavafis ed è assurto a notorietà, postumo, grazie alla paternità della famosa “Itaca”.
Non è stato felice in vita, però le sue parole l’hanno reso immortale. La poesia si intitola “E se non puoi la vita che desideri” e la si potrebbe leggere sostituendo la parola “vita” con la parola “Natale”. E se non puoi la vita che desideri cerca almeno questo per quanto sta in te: non sciuparla nel troppo commercio con la gente con troppe parole in un viavai frenetico. Non sciuparla portandola in giro in balia del quotidiano gioco balordo degli incontri e degli inviti, fino a farne una stucchevole estranea. Buon Natale.
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