Esteri

PRIMA PAGINA Putin ha detto Xi. Fin dove arriva l’alleanza Mosca-Pechino

di Redazione -


di GIUSEPPE MASALA

Certamente è riduttivo vedere l’alleanza di fatto tra Mosca e Pechino, come meramente strumentale e legata alla contingenza storica che unisce queste due potenze nella necessità di contrastare l’aggressività dei paesi occidentali. In realtà sta nascendo qualcosa di più profondo e destinato a durare nel tempo (almeno nelle intenzioni di russi e cinesi). Qualora questa volontà si stabilizzasse, l’intero corso della storia ne verrebbe influenzato potentemente levando definitivamente all’Occidente quella egemonia che ha esercitato sul mondo per centinaia di anni. Come si può capire, il concretizzarsi di questo matrimonio tra le due superpotenze euroasiatiche è, dunque, da seguire con la massima attenzione.

Il primo segno – direi anche simbolico – della volontà di portare al matrimonio Mosca e Pechino è la concessione data da Mosca ai cinesi per l’utilizzo del porto di Vladivostok. Una notizia apparentemente secondaria per chi non conosce la storia, ma in realtà fondamentale. Vladivostok è un porto ceduto all’impero russo dai cinesi nel 1860 e da allora chiuso al Celeste Impero condannando così al sottosviluppo la regione storica della Manciuria perchè privata del suo naturale sbocco nel Mar del Giappone. La riapertura di Vladivostok consente a Pechino di programmare un piano di investimenti tale da far recuperare a queste province il gap con il resto della Cina che, secondo molti economisti, è misurabile in 40 anni di ritardo.

Il secondo segno della nascita dell’Asse Mosca-Pechino lo ha dato proprio Vladimir Putin che al Forum “Russia Calling!” svoltosi il sette e l’otto Dicembre ha dichiarato: «Quest’anno raggiungeremo già i 200 miliardi di dollari (di interscambio commerciale tra Russia e Cina, ndr), secondo me, nessuno ha dubbi. Siamo pronti a collaborare in tutti i settori; non abbiamo restrizioni. Ciò vale, tra l’altro, anche per le tecnologie militari». Dunque la Russia è pronta a condividere con Pechino le sue tecnologie militari sensibili e fino ad ora non cedute a paesi stranieri. Possiamo presumere che tra queste tecnologie vi siano quelle legate ai sottomarini nucleari, a quella dei missili da crociera Kalibr e dei missili ipersonici Kinzal e Zirkon e forse, addirittura, anche la tecnologia relativa al proprio deterrente nucleare.

Come si può capire, l’apertura dello scrigno dei segreti militari russi ai cinesi è il segno di un qualcosa di più di un’alleanza legata alle attuali contingenze storiche. Siamo di fronte innanzitutto alla presa d’atto dell’esistenza di un “comune destino” tra i due paesi e dunque a qualcosa di strutturale che potrebbe cambiare definitivamente anche gli equilibri di forza sul piano militare nello scacchiere mondiale. Prenderne atto per l’Occidente sarebbe indice di saggezza, ma purtroppo non sembra che nelle capitali occidentali si sia presa coscienza che l’aggressività nei confronti di Russia e Cina sta portando, a passi forzati, verso la costruzione di un colosso sostanzialmente inattaccabile.

Ma è collegando i primi due punti visti finora in questa disamina che si riesce a comprendere il senso strategico del progetto; l’apertura del porto di Vladivostok alle aree cinesi della Manciuria storica e quello relativo alle dichiarazioni di Vladimir Putin, sulla Russia pronta ad aprire una collaborazione anche sulla ricerca relativa a tecnologie militari, vanno lette anche alla luce dei progetti di sviluppo cinesi per la provincia di Heilongjiang che intendono far nascere un polo di ricerca tecnologica, sviluppo e produzione nel settore della difesa.

Peraltro già da anni nei centri di ricerca economici cinesi e russi vengono ideate e progettate aree miste situate al confine – delle vere e proprie Zone Economiche Speciali – co-amministrate dai due paesi attraverso degli organi paritetici. Questo con la finalità di unire i punti di forza di ciascuno e generare quelle sinergie che potrebbero fungere da volano per uno sviluppo di aree, fino ad ora, sottoutilizzate.
E’ questo per l’appunto il caso del progetto di cui si discute e che trasformerebbe la regione di Heilongjiang, in un potente centro per lo sviluppo economico e scientifico, oltre che per la difesa nazionale.

Un piano che – nelle intenzioni di Pechino – avrebbe una proiezione di ben 100 anni e che vedrebbe lo stanziamento da parte del governo cinese di 10.000 miliardi di Yuan (1.400 miliardi di Dollari) già nei prossimi dieci anni. Si tratta di un piano colossale che prevederebbe l’elevazione della capitale della provincia, Harbin, al rango di città ad amministrazione diretta (come Shangai e Pechino), il trasferimento di Università da Pechino e di grandi aziende tecnologiche e del comparto della difesa. La Russia da parte sua oltre a mettere a disposizione il fondamentale porto di Vladivostok (e su questo punto come abbiamo visto gli accordi sono già stati firmati e resi pubblici), sarebbe – secondo indiscrezioni – disposta a cedere, per i prossimi 100 anni, anche la co-amministrazione di alcune zone confinanti con la regione cinese di Heilongjiang; precisamente si parla della Regione Autonoma Ebraica di Birobidzhan quale zona designata.

Altro punto fondamentale del progetto è quello secondo cui i residenti dello Heilongjiang sarebbero autorizzati a viaggiare dentro e fuori le regioni designate dell’Estremo Oriente russo e a stabilirvisi, consentendo così all’enorme popolazione cinese della regione di “straripare” nella Siberia russa. Altro aspetto importante è che questa nuova Zona Economica Speciale sino-russa avrebbe una propria area doganale e sarebbe esente da tasse di importazione.

Secondo le indiscrezioni, questo ambizioso piano sarà approvato dell’Assemblea Nazionale del Popolo già durante la sessione annuale del marzo prossimo e quindi, finalmente, saranno scoperte le carte.
Come si può vedere questo piano per la costituzione di una zona economica speciale sino-russa darebbe una profondità strategica e un senso logico sia alla concessione per l’utilizzo del porto di Vladivostok, sia alla dichiarazione di Putin sulla condivisione anche di tecnologie militari tra i due paesi.

Permettetemi infine una amara considerazione: fa un po’ sorridere, di fronte a piani colossali come questi che potrebbero cambiare il corso della storia, leggere che durante la visita in Cina del Presidente del Consiglio Europeo Charles Michel e della Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen questi ultimi avrebbero presentato direttamente a Xi Jinping un diktat secondo il quale la Cina deve smettere di sostenere la Russia nel suo sforzo bellico, esportando beni dual use ovvero beni utilizzabili sia nel campo civile che nel campo militare. Secondo le informazioni di stampa qualora questa richiesta non venga esaudita l’Europa minaccerebbe di sanzionare 13 aziende cinesi che materialmente effettuano questo genere di interscambio commerciale con la Russia.

Davvero lascia frastornati l’inadeguatezza della dirigenza europea che non si rende conto dei rapporti di forza reali intercorrenti tra Cina (e Russia) da un lato ed Ue dall’altro. La realtà è che siamo un’area economica arretrata tecnologicamente (a causa della folle morsa austeritaria imposta dalla Merkel per 30 anni), privata della strategica sicurezza energetica, priva di forza militare autonoma, affetta da nanismo politico-diplomatico e soprattutto responsabile ultima della tensione mondiale a causa degli squilibri commerciali causati proprio dalla nostra aggressività sui prezzi nei confronti delle aree concorrenti a partire da quella nord americana.

E nonostante tutto questo pesante fardello abbiamo l’impudenza di presentarci di fronte ai nostri interlocutori (tranne gli Usa, che ci mettono al nostro posto in un nano secondo) con la spocchia dei paesi colonialisti dell’ottocento. Se l’Europa vuole salvarsi è necessaria una presa di coscienza e una nuova dirigenza, più saggia di quella che ci ha governato fino ad ora.


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