Se il giudice fa lo storico e si allontana dal diritto
di FRANCESCO DA RIVA GRECHI
I principi del processo giusto e di ragionevole durata sono stati elaborati ed introdotti nell’ordinamento costituzionale per applicarsi fin dal primo grado e, nel caso dei processi penali, fin dalla prima fase, c.d. delle indagini preliminari. Sembra una banalissima ovvietà, ma in Italia questi capisaldi della civiltà giuridica, che peraltro hanno aspettato il 1999 per ritrovarsi scritti nella costituzione, non hanno alcun peso finché, e soltanto sé, il processo arriva dinanzi ai supremi collegi della Corte di Cassazione.
Prima c’è tutt’altro. La stessa suprema Corte parla di storiografia, quando i suoi giudici, che, da soli, scrivono più sentenze, a occhio, di tutto l’occidente giuridico, sono costretti a scorrere le motivazioni dei giudici d’Appello, che a loro volta, si trovano tra l’incudine ed il martello del primo grado.
Piero Calamandrei, che della disciplina del processo e della costituzione è uno dei padri, nonché degli interpreti più perfetti ed appassionati, scrisse un memorabile articolo intitolato “Il giudice e lo storico” per sviscerare le due anime che, nel giudice togato, assolutamente e necessariamente, debbono coesistere: colui che ricostruisce il fatto e colui che ad esso applica il diritto.
Si ripete, d’altro canto, che la Corte di Cassazione è giudice esclusivamente dei vizi di legittimità delle sentenze, dell’applicazione del diritto e della logica dei giudici di merito, che sono quelli del Tribunale e della Corte d’Appello, e quindi non dell’accertamento dei fatti, che, per come arrivano in Cassazione, non possono più essere ridiscussi.
Se questo è l’ordinamento, non significa tuttavia l’inverso: che Tribunale e Appello siano giudici del fatto e non del diritto. Probabilmente per una forma di rispetto, i giudici, specialmente del Tribunale, agiscono sì come storici, cronisti, psicologi, sociologi narratori, un po’ questo ed un po’ quello, ma rimangono liberi di lasciare l’applicazione del diritto esclusivamente alla Cassazione che infatti ci fa sempre una meravigliosa figura.
E, soprattutto, nella stessa attività di ricostruzione del fatto, non si preoccupano della stretta osservanza della legge, che comporterebbe il rischio della deriva giacobina del giudice “bocca della legge”, voluta dalle assemblee legislative nelle quali non c’è più alcuna considerazione, e si concentrano, invece, sulla forsennata affermazione di principi e valori anch’essi più attinenti a ricostruzioni storiche e politiche che a sentenze giudiziarie.
Ma non è per questo che la magistratura ha il suo potere, anzi, deve essere soggetta solo alla legge ma ad essa sempre, come vuole la Costituzione. E, si stia attenti, inoltre, alle sempre più invasive ed estenuanti esternazioni mediatiche che caratterizzano i processi, soprattutto penali.
A prescindere dalle contaminazioni di carattere politico, che a volte raggiungono la massima amplificazione di un orrore immaginabile, se già, procuratori della Repubblica e giudici di Tribunale, parlassero più di diritto, come del resto gli avvocati, si otterrebbero processi più efficienti, meno intasamento della Cassazione, ed inoltre, qualora ad essa, inesorabilmente, si arrivasse, ciò avverrebbe prima e si comincerebbe davvero a vedere la luce anche nel senso di una durata del processo che sia effettivamente ragionevole.
Torna alle notizie in home