Attualità

Fuori dalla Via della Seta ma con la Cina non è finita

di Giovanni Vasso -

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, GIORGIA MELONI XI JINPING PRESIDENTE REPUBBLICA CINESE


Via della Seta: il giorno dopo, anche se in realtà sarebbero almeno cinque, l’Italia si risveglia – tanto per cambiare – in mezzo alle polemiche. Il governo ha deciso di non rinnovare il memorandum della Belt and Road Initiative, meglio nota come “Via della Seta”, che la legava, unico Paese del G7, alla Cina. A Pechino è dispiaciuto il dietrofront di Roma. Per una ragione su tutte. Se l’Italia va via, lamentando, come ha fatto il governo, che il MoU non ha apportato significativi e decisivi miglioramenti agli scambi commerciali e allo sviluppo economico, per il Dragone è uno smacco. Che rischia di ripercuotersi sull’intera Via della Seta.
Meloni ha utilizzato parole dure: “Io penso che lo strumento della Via della Seta non abbia dato i risultati che erano attesi, penso anche però che si debbano mantenere e migliorare rapporti di cooperazione commerciale ed economica con la Cina”. A primo acchitto, una posizione che si potrebbe definire “democristiana”. Ma, leggendo bene, dalla premier italiana è arrivata una bocciatura senz’appello a una strategia a cui Pechino ha lavorato, e sta lavorando in maniera certosina, da decenni. Si doveva intervenire. Dopo i “soliti” portavoce dei ministeri, è stato direttamente Xi Jinping, il presidente cinese, a ribadire la bontà e l’efficacia della Belt and Road Initiative. E lo ha fatto davanti a Ursula von der Leyen e a Charles Michel, i due arcinemici (tra loro) Ue che vanno d’accordo su una sola cosa: svincolare l’Europa dalla sudditanza nei confronti della Cina. La Via della Seta, per Xi, “è una piattaforma inclusiva che ha portato benefici tangibili a oltre 150 Paesi e alle loro popolazioni”. Adesso, Pechino si concentrerà sui Paesi del Sud del mondo. Quelli che non hanno economie floride, non hanno grandi capitali ma pesano, e molto, sullo scacchiere geopolitico. Insomma, la Cina proseguirà nell’opera di espandere la sua influenza con l’obiettivo di dare scacco agli Usa nell’eterna lotta tra superpotenze. E l’Italia? Si divide tra chi si dispera e chi esulta. La solita sfida urlata tra ultras, l’ormai noioso duello rusticano tra partiti.
Rompere del tutto con la Cina è, più che altro, esercizio retorico. Buono per gli scontri parlamentari. Non si può fare. Per un motivo molto semplice. Perché la storia dell’Italia è molto più lunga di quella della Repubblica e persino di quella della sua unificazione. Dai tempi di Marco Aurelio, prima ancora di Marco Polo, passando per il Beato Giovanni da Montecorvino che portò per primo la Chiesa Cattolica nell’allora Catai e per il lucano Ludovico Nicola di Giura che finì mandarino alla corte dell’ultimo imperatore cinese, Roma e il Dragone hanno dialogato. E non potrebbe essere altrimenti. Allora bisognerebbe riscoprire, nella storia di Italia e di Cina, il ruolo giocato proprio dalla seta. I grandi viaggi, le storie e le epopee mercantili, le scoperte e i segreti (violati e conservati). L’impero bizantino, che a Roma si richiamava e a Roma ritornò, per poco più di un attimo con Giustiniano, è sopravvissuto, ricchissimo, per secoli, grazie alla seta. E grazie alla furbata dei monaci nestoriani che nascosero nei loro bastoni da viaggio le uova dei bachi.
L’eredità di una grande produzione, da Nord a Sud. Da Bergamo a San Leucio in provincia di Caserta, da Renzo e Lucia di Alessandro Manzoni fino a Ferdinando I di Borbone che affidandosi a ingegneri francesi tradusse in realtà i progetti del genio che fu Leonardo da Vinci. Il sapere e l’osare. Insomma, il tema è di liberare le energie, la visione, i sogni che teniamo ingabbiati. Non è retorica, è quello che ci insegna la storia. Che, però, preferiamo dimenticare per correre appresso, piegandola alle esigenze di parte, all’attualità. Lo sviluppo dell’economia italiana non può prescindere dal dialogo, dai rapporti secolari che in ogni parte del mondo, dagli Usa fino ai partner europei, sono stati intessuti. Ma ci vuole un’idea forte. Le posizioni ideologiche non hanno mai portato da nessuna parte e nessuno ha mai fatto la storia, né le opere grandi, da solo.


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