Altro che ergastolo: Filippo può farla franca
L’Italia ha già condannato Filippo Turetta all’ergastolo, ma la giustizia per Giulia Cecchettin viaggia su un doppio binario. L’accusa e la difesa: i due pilastri del processo che con le indagini e le strategie saranno determinanti sia per la condanna che per l’entità della pena da scontare in carcere. Perché nonostante la drammaticità dell’omicidio, la crudeltà, del delitto e la pericolosità sociale di Filippo Turetta, nessuno oggi può sostenere con certezza che pagherà. Anzi, sul delitto aleggia una costante inquietante, remota ma terribilmente verosimile, ovvero che l’assassino di Giulia possa anche farla franca.
Nonostante l’impianto accusatorio, nonostante il dna, nonostante l’indignazione di un Paese che ha vissuto come un Grande Fratello tutte le fasi della scomparsa di Giulia e Filippo culminate nel dolore per il ritrovamento del cadavere della giovane. Di fronte a tutto questo il “se condannato” non dovrebbe essere nemmeno contemplato. Eppure il processo è uno show, un gioco tra le parti in cui vince chi fornisce la storia più convincente, ovviamente sulla base di elementi probatori certificati. Filippo ha ucciso Giulia, su questo non c’è alcun dubbio, ma l’evidenza deve fare i conti con la verità giudiziaria. E in un processo ce ne sono due.
La Procura sta lavorando per ricostruire il castello di prove necessarie a dimostrare l’omicidio volontario aggravato. Il nodo cruciale sarà la premeditazione, perché solo in presenza di quell’aggravante è prevista l’applicazione della pena dell’ergastolo nell’omicidio. Un punto fondamentale che non permetterebbe alla difesa di chiedere il processo con rito abbreviato, grazie alle nuove norme del 2019 che vietano lo sconto di un terzo della pena per i reati puniti con l’ergastolo. Filippo, dunque, non avrebbe alcuno sconto e potrebbe essere condannato al fine pena mai qualora regga la premeditazione. Al momento, però, l’aggravante non è contestata.
Nell’ordinanza il gip di Venezia Benedetta Vitolo ricostruisce i 22 minuti di azione omicidaria e la crudeltà inflitta sul corpo di Giulia: “Filippo, con questa aggressione a più riprese e di inaudita ferocia nei confronti della ex fidanzata prossima alla laurea ha dimostrato una totale incapacità di autocontrollo che è idonea a fondare un giudizio di estrema pericolosità e desta allarme in una società in cui i femminicidi sono all’ordine del giorno”. Per il giudice “l’indagato appare inoltre totalmente imprevedibile perché dopo aver condotto una vita all’insegna di una apparente normalità ha improvvisamente messo in essere questo gesto folle e sconsiderato”. Sussiste infine “il periculum libertatis, ovvero il pericolo che l’indagato reiteri condotte violente nei confronti di altre donne”.
Nulla sul coltello con la lama spezzata trovato a Fossò e neppure sullo scotch e i sacchi neri che l’ex fidanzato aveva con sé. Per l’Italia che ha già condannato Turetta, sarebbero le prove evidenti che l’ex fidanzato ha pianificato il delitto, insieme alle ricerche del kit di sopravvivenza sul web e ai soldi per la fuga. Ma il suo legale, nelle ultime ore, ha gettato le basi della linea difensiva, perché per un appassionato come Filippo il coltello poteva essere in macchina.
E se quel coltello era già in macchina, insieme agli altri oggetti che non sono incompatibili con una detenzione in auto, allora la versione può essere un’altra. Allora Filippo, che per adesso si è chiuso nel silenzio nella cella del carcere di Halle dove è detenuto in attesa di estradizione, potrà tornare e raccontare che lui e Giulia hanno litigato in macchina e che, al culmine del litigio, potrebbe aver preso il coltello dal portaoggetti solo per minacciarla ma poi la ragazza si è difesa e la situazione è sfuggita di mano. Paradossalmente potrebbe perfino sostenere che lei ha tentato di prendergli il coltello e che lui l’ha colpita in preda a un raptus.
Ed eccolo lì, il solito raptus, che aprirebbe la strada all’omicidio preterintenzionale e spiegherebbe pure l’atteggiamento di Filippo dal giorno dell’arresto. Non solo non parla, ma dalla Germania fanno sapere che è strano, a tratti assente. E si materializza così lo spauracchio dell’incapacità di intendere e di volere, che il suo avvocato Emanuele Compagno ha già preso in considerazione nella strategia difensiva. “Adotterò tutti quelli che sono gli strumenti, se sarà necessaria la perizia la adotteremo insieme”, ha detto. Perché se la difesa riuscirà a dimostrare che Filippo non era in grado di intendere e di volere al momento dei fatti, non si farà neppure un giorno di galera. Per diletto dei suoi fan, che stanno creando gruppi innocentisti, come accadde per Alberto Stasi. Il quale, nella dialettica post femminista, non è più il responsabile dell’omicidio di Garlasco, ma del femminicidio Poggi.
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