Attualità

Ma colpevolizzare l’uomo non può essere la soluzione

di Redazione -



di Francesco Grattoni

L’ennesima tragedia si è consumata sotto i nostri occhi. Un’altra giovane donna è stata strappata via alla vita da quell’uomo che diceva di amarla. L’ennesima vittima. Non la prima e purtroppo neppure l’ultima.
Come spesso accade in questi casi si aprono le cataratte del dibattito di matrice sociologica sulle responsabilità dell’uomo, sulla sua colpevolezza a prescindere solo perché di sesso maschile, di quell’imprinting che riceve sin da piccolo dalla cosiddetta “società patriarcale” nuova fonte, ben individuata, di tutti i mali del nostro tempo. Ecco allora che bisogna sentirsi colpevoli anche se non si è commesso alcun reato in quanto portatori sani di valori distorti in una sorta di responsabilità penale non più individuale ma collettiva.

La politica, come spesso accade, cavalca l’onda emotiva popolare decidendo di introdurre nuove fattispecie di reato (anziché battersi per la certezza della pena) e l’ora di educazione affettiva a scuola, una sorta di indottrinamento sentimentale che ben si sposa con i deliri culturali di qualsiasi genere che ci vengono propinati quotidianamente. Ma davvero sono questi i problemi e soprattutto sono queste le soluzioni?

È indubbio che la nostra società debba compiere ancora enormi passi in avanti relativamente alla parità dei sessi. Le donne sono ancora discriminate sul luogo di lavoro, guadagnano meno degli uomini e non sono tutelate in caso di maternità vittime ancora del vecchio adagio “la carriera o la famiglia” che è decisamente squalificante. Senza considerare poi le disparità di trattamento a cui devono sottostare. Ma davvero riteniamo che colpevolizzare l’uomo in quanto tale, identificarlo a prescindere con Filippo Turetta, sia la soluzione? Ovviamente no.

Il grosso problema dei nostri tempi è l’abbandono a se stessi delle nuove generazioni. Stiamo crescendo figli, giovani non solo anaffettivi ma totalmente impreparati al fallimento come processo naturale di crescita personale. Generazioni che vivono con la paura del “no” che non solo non lo sanno accettare ma neppure affrontare e metabolizzare e che ritengono i propri desiderata unico principio su cui basare la propria fragile esistenza.

Istruiamo anzi indottriniamo generazioni privandole del senso critico non solo sulle cose ma anche su se stessi, abbiamo derubricato la cultura classica, la letteratura, la filosofia insegnate nelle scuole perché poco funzionali al mondo del lavoro. Il prodotto deve essere finito e pronto per essere immediatamente fruibile. Salvo poi introdurre l’educazione sentimentale quando invece la vera formazione la dovrebbero fare i genitori (sempre meno genitori e sempre più amici) prima e la scuola poi con lo strumento più potente che ha a disposizione: la cultura.

Un processo faticoso, complicato e soprattutto dispendioso che una società cannibale come quella di oggi ha già abbandonato. Molto meglio colpevolizzare sparando nel mucchio e magari manifestando facendo sega a scuola il venerdì. Sai che bello il weekend lungo.


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