Patto di stabilità, la battaglia finale
La battaglia finale per il Patto di Stabilità. Che, con ogni probabilità, anche stavolta non sarà terrà presente la seconda parte della sua stessa denominazione, la “crescita”. La presidenza spagnola ha presentato l’ultima bozza. Quella su cui la Commissione punta fortissimo, chiedendo agli Stati membri di scommetterci. A occhi (più o meno) chiusi. E mentre da Bruxelles s’alzano alti gli appelli a trovare un landing point, cioè un punto di convergenza, o meglio ancora un compromesso sulla bozza, Germania e Francia, che quando il gioco si fa duro ritrovano sempre un certo feeling, lavorano per un patto che possa, e debba, andar bene a tutti quanti gli altri.
Nadia Calvino, presidente dell’Ecofin in qualità di ministro a interim spagnolo all’Economia, ritiene che saranno necessarie altre due riunioni per trovare la quadra. Ha spiegato che il 70% della riforma è ormai cristallizzato, fisso e assodato, concordato tra le parti. O, almeno, tra la maggior parte dei Paesi membri. Ora tocca al restante 30 per cento. Che verte, come è facile immaginare, sulle questioni dirimenti. Quelle che fanno litigare i Paesi frugali, capitanati dalla Germania, con tutto il resto d’Europa. Una su tutte è la questione legata al debito. Per Berlino, non c’è debito buono o cattivo. Si deve pagare, e basta. Quindi nessun debito può essere stornato dal Patto. Come, invece, chiede a gran voce l’Italia che, indebitata com’è, ha bisogno di ritrovare spazio per gli investimenti. E, pertanto, ha chiesto nei mesi scorsi che né le spese militari sostenute per l’Ucraina né gli investimenti del Pnrr venissero iscritti a passività ai fini del nuovo Patto di stabilità. Allo stato attuale, dalla Germania, arriva la richiesta di una clausola di salvaguardia a carico dei Paesi il cui rapporto debito/Pil supera il 60% che, non soltanto dovranno rientrare del debito al ritmo dell’1% per l’anno ma che dovranno mantenere il rapporto deficit/Pil sotto l’uno per cento, un parametro che risulta addirittura più gravoso di quello imposto da Maastricht, al 3%. La Commissione, invece, aveva proposto la redazione di un piano “personalizzato” per ogni Paese indebitato, chiamato, contestualmente, a rientrare dello 0,5% annuo del rapporto deficit/Pil qualora questo superasse la soglia del 3 per cento. L’Italia, il convitato di pietra per eccellenza di questi ragionamenti, non si oppone ai piani di rientro dal debito. Tutt’altro. Ma prova in tutti i modi a far capire ai partner che nessun piano può essere davvero un successo se non lascerà spazio all’economia reale. In pratica, se Roma dovrà pensare – ogni anno – a pagare debito e non potrà finanziare altro rischia il tracollo economico. Ieri, però, il ministro dell’economia tedesco Christian Lindner s’è detto ottimista. Secondo lui, le trattative stanno prendendo la piega giusta e, uscito dall’incontro di Parigi con l’omologo francese Bruno Le Maire, ha detto di ritenere possibile chiudere la partita del Patto di stabilità entro quest’anno. Da parte sua, Le Maire ha ribadito che “è in gioco la credibilità dell’intera Unione europea, in tempi così difficili, in cui ci sono problemi economici che tutti conoscono o rischi geopolitici molto alti”. Quindi ha dichiarato: “Dobbiamo avere il coraggio di adottare entro la fine del 2023 nuove regole per il Patto di stabilità e crescita che siano credibili e solide, e che preservino margini di manovra per gli investimenti. La questione principale nelle nostre discussioni di oggi: vogliamo raggiungere un accordo sulle nuove regole del Patto di stabilità entro la fine del 2023. L’Unione europea ha bisogno di queste nuove regole”.
A corroborare le richieste di rigore che arrivano dal governo tedesco c’è la solita Bce secondo cui le politiche di bilancio nell’area euro dovrebbero avere “lo scopo di accrescere la produttività dell’economia dell’area dell’euro e ridurre gradualmente l’elevato debito pubblico”. Per farlo, servirebbe tener presente che “le riforme strutturali e gli investimenti volti a migliorare la capacità di offerta dell’area, che beneficerebbero della piena attuazione del programma Next Generation Eu, possono contribuire a ridurre le spinte sui prezzi nel medio periodo, sostenendo al tempo stesso le transizioni ecologica e digitale”. Infine la Bce si unisce al coro di chi chiede la conclusione “entro la fine di quest’anno la riforma del quadro di governance economica dell’Ue e andrebbero accelerati i progressi verso l’unione dei mercati dei capitali e il completamento dell’unione bancaria”.
Torna alle notizie in home