Economia

Ci sono le elezioni, il green può attendere

di Giovanni Vasso -


Ci sono le elezioni, il green può aspettare. C’è un tempo per tutto. Ce n’è uno per redigere regolamenti stringenti, ce n’è un altro per “cambiare idea” e per tentare di recuperare il terreno (e il consenso…) perduto. In Europa, la corsa al green s’è arrestata. O meglio, s’è pigliata una pausa. Gli obiettivi rigorosi e le time line troppo vicine hanno convinto i politici a prendersi un attimo di respiro. Ma non è che tutto ruoti sempre e comunque attorno alle dinamiche politiche. C’è un altro (grosso) problema con il quale i fautori del green devono fare i conti. La finanza, quella che ha sostenuto, con forza, i progetti legati alla transizione verde, inizia a tirare i remi in barca. Al punto da indurre le autorità che davvero contano in Europa (come Christine Lagarde, governatrice della Bce) a produrre appelli agli investitori affinché continuino a credere, e a sostenere, i progetti green.

L’Europa si picca di voler diventare il primo continente a emissioni zero. E per farlo investirà, dal 2021 fino al 2027, qualcosa come 578 miliardi di euro. In pratica, un euro su tre dell’intero budget comunitario andrà (o è già andato) a finanziare progetti per la sostenibilità e per l’ambiente. Ma questi fondi non bastano. C’è bisogno degli investimenti. Occorre la fiducia dei mercati. Che, finché si trattava di cercare il nuovo unicorno tra le start-up facendo pure bella figura cogli ambientalisti (quello che si chiama, come un termine più à la page green-washing), hanno sborsato fior di quattrini. Poi, però, è successo che il comparto green abbia mostrato più di un intoppo. Insomma, non generava i guadagni che ci si aspettava. E perciò l’alta finanza, che notoriamente non crede alla salvezza dell’anima ma soltanto a quella dei bilanci, ha cominciato a ritirarsi dagli investimenti. Nelle scorse settimane, Christine Lagarde aveva rivolto un accorato appello ai mercati affinché sostenessero la rivoluzione green. Appello che, ieri, è stato ribadito, agli Stati generali della Green Economy di Ecomondo a Rimini,  da Virginijus Sinkevicius, Commissario Ambiente e Oceani, Commissione Europea: “La Ue si impegna a sostenere gli Stati membri nella transizione, perché la parola chiave deve essere la cooperazione fra tutti gli attori in campo e sarà fondamentale il ruolo della Finanza per stimolare gli investimenti necessari”.

Ma accanto alle esigenze della finanza ci sono anche quelle dei politici. Che, finché il mandato è ancora lungo, possono accelerare. Ma quando le scadenze elettorali incombono, hanno bisogno di ascoltare gli elettori. Il caso più eclatante è la clamorosa retromarcia di Frans Timmermans, ex vice presidente della Commissione, tra i più accaniti e implacabili sostenitori del green. In particolare, del regolamento Natura, che avrebbe imposto limiti stringenti agli allevamenti (a causa delle emissioni prodotte dal bestiame) e agli agricoltori. Timmermans, per capirsi, è colui che, ad aprile ’22, ha inserito gli allevamenti nel novero delle attività industriali. Per poter colpire con più forza sulle emissioni. Ma poi dovette incassare, a luglio scorso, il “no” dell’europarlamento che impedì l’equiparazione tra stalle e fabbriche. Adesso, però, s’è convinto anche lui che sarebbe stato uno sbaglio. Potenza delle elezioni. Già, perché Timmermans ora si candida a premier in Olanda e ha il disperato bisogno di recuperare i consensi del mondo agricolo. Che, intanto, s’è organizzato attorno a un partito single-issue che catalizza simpatie trasversali e rischia di andare in doppia cifra al voto.

Questo del regolamento Natura non è neanche il caso più eclatante. Ma in Ue la mediazione è d’obbligo. La vendita di auto a motori termici sarà bloccata dal 2035. L’obiettivo politico, però, fissava il termine al 2030. Ma le organizzazioni dei produttori tedeschi volevano più tempo per mettere a punto gli efuels e spingevano per il 2040. Ecco servito il compromesso del 2035. La direttiva sulla Casa green, che minacciava da vicino gli italiani e il loro patrimonio immobiliare, s’è incagliata all’ultima riunione del trilogo. Se ne parlerà a dicembre, quando slitterà ancora (almeno) fino a metà 2024, in attesa del voto e delle nuove maggioranze all’europarlamento.


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