Ci sono le elezioni, il green può attendere
Ci sono le elezioni, il green può aspettare. C’è un tempo per tutto. Ce n’è uno per redigere regolamenti stringenti, ce n’è un altro per “cambiare idea” e per tentare di recuperare il terreno (e il consenso…) perduto. In Europa, la corsa al green s’è arrestata. O meglio, s’è pigliata una pausa. Gli obiettivi rigorosi e le time line troppo vicine hanno convinto i politici a prendersi un attimo di respiro. Ma non è che tutto ruoti sempre e comunque attorno alle dinamiche politiche. C’è un altro (grosso) problema con il quale i fautori del green devono fare i conti. La finanza, quella che ha sostenuto, con forza, i progetti legati alla transizione verde, inizia a tirare i remi in barca. Al punto da indurre le autorità che davvero contano in Europa (come Christine Lagarde, governatrice della Bce) a produrre appelli agli investitori affinché continuino a credere, e a sostenere, i progetti green.
L’Europa si picca di voler diventare il primo continente a emissioni zero. E per farlo investirà, dal 2021 fino al 2027, qualcosa come 578 miliardi di euro. In pratica, un euro su tre dell’intero budget comunitario andrà (o è già andato) a finanziare progetti per la sostenibilità e per l’ambiente. Ma questi fondi non bastano. C’è bisogno degli investimenti. Occorre la fiducia dei mercati. Che, finché si trattava di cercare il nuovo unicorno tra le start-up facendo pure bella figura cogli ambientalisti (quello che si chiama, come un termine più à la page green-washing), hanno sborsato fior di quattrini. Poi, però, è successo che il comparto green abbia mostrato più di un intoppo. Insomma, non generava i guadagni che ci si aspettava. E perciò l’alta finanza, che notoriamente non crede alla salvezza dell’anima ma soltanto a quella dei bilanci, ha cominciato a ritirarsi dagli investimenti. Nelle scorse settimane, Christine Lagarde aveva rivolto un accorato appello ai mercati affinché sostenessero la rivoluzione green. Appello che, ieri, è stato ribadito, agli Stati generali della Green Economy di Ecomondo a Rimini, da Virginijus Sinkevicius, Commissario Ambiente e Oceani, Commissione Europea: “La Ue si impegna a sostenere gli Stati membri nella transizione, perché la parola chiave deve essere la cooperazione fra tutti gli attori in campo e sarà fondamentale il ruolo della Finanza per stimolare gli investimenti necessari”.
Ma accanto alle esigenze della finanza ci sono anche quelle dei politici. Che, finché il mandato è ancora lungo, possono accelerare. Ma quando le scadenze elettorali incombono, hanno bisogno di ascoltare gli elettori. Il caso più eclatante è la clamorosa retromarcia di Frans Timmermans, ex vice presidente della Commissione, tra i più accaniti e implacabili sostenitori del green. In particolare, del regolamento Natura, che avrebbe imposto limiti stringenti agli allevamenti (a causa delle emissioni prodotte dal bestiame) e agli agricoltori. Timmermans, per capirsi, è colui che, ad aprile ’22, ha inserito gli allevamenti nel novero delle attività industriali. Per poter colpire con più forza sulle emissioni. Ma poi dovette incassare, a luglio scorso, il “no” dell’europarlamento che impedì l’equiparazione tra stalle e fabbriche. Adesso, però, s’è convinto anche lui che sarebbe stato uno sbaglio. Potenza delle elezioni. Già, perché Timmermans ora si candida a premier in Olanda e ha il disperato bisogno di recuperare i consensi del mondo agricolo. Che, intanto, s’è organizzato attorno a un partito single-issue che catalizza simpatie trasversali e rischia di andare in doppia cifra al voto.
Questo del regolamento Natura non è neanche il caso più eclatante. Ma in Ue la mediazione è d’obbligo. La vendita di auto a motori termici sarà bloccata dal 2035. L’obiettivo politico, però, fissava il termine al 2030. Ma le organizzazioni dei produttori tedeschi volevano più tempo per mettere a punto gli efuels e spingevano per il 2040. Ecco servito il compromesso del 2035. La direttiva sulla Casa green, che minacciava da vicino gli italiani e il loro patrimonio immobiliare, s’è incagliata all’ultima riunione del trilogo. Se ne parlerà a dicembre, quando slitterà ancora (almeno) fino a metà 2024, in attesa del voto e delle nuove maggioranze all’europarlamento.
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