“Sul debito è suonata la sveglia”. Giancarlo Giorgetti non ci sta a vestire i panni dell’occhiuto ragioniere, sballottato a destra e a manca dai venti della polemica su una manovra senza profondità e prospettiva. Il problema, dice, è il debito pubblico, “che sottrae risorse alle famiglie e alle imprese”. E fin qui nulla di nuovo. Ce lo raccontiamo da sempre, lo poniamo come assunto di base per qualsiasi manovra finanziaria firmata da uno Stato indebitato fino al collo. Ma forse siamo al punto di svolta: le guerre in corso e la crisi energetica ci hanno portato sull’orlo del baratro ma nello stesso tempo ci convincono a ricercare la strada per uscire dal guado. L’Italia deve togliersi dalle spalle il fardello del debito se vuole immaginare una politica espansiva, di sviluppo e di crescita. Altrimenti il rapporto fra il debito e il Pil, anche se al posto di Giorgetti ci sarà il premio Nobel per l’economia, sarà sempre sbilanciato verso il debito.
E il bello è che una soluzione ci sarebbe pure, e da tempo se ne parla negli ambienti dell’alta finanza. Semplice e allo stesso tempo complessa. Perché si tratterebbe di ribaltare il tavolo. In sostanza, lo Stato, invece di incassare emettendo titoli di debito (i Btp), dovrebbe intraprendere il processo dei titoli di credito. I cosiddetti Bond Tax pluriennali (a 5, 10 e 15 anni), che consentirebbero allo Stato di incassare preventivamente le tasse – che oggi incassa (male) solo in un secondo momento – garantendo, come ritorno per gli investitori, uno sconto su ogni singolo anno di durata. Insomma, un prodotto finanziario “buono”, garantito dallo Stato. Il meccanismo è virtuoso: quello che viene incassato con i Bond non sarà più da restituire ma andrà a diminuire il debito pubblico. Evidente l’inversione di tendenza rispetto all’andazzo attuale di un Paese asserragliato in un fortino di debito e di interessi giganteschi da pagare, finanziati facendo ulteriore debito. Un loop dal quale uscire assolutamente, modificando proprio il concetto di debito.
L’eccezione è prevedibile: perché una soluzione così semplice non è stata mai adottata? Una risposta potrebbe giungere facendo un semplice calcolo: in un mondo in cui il Pil è pari a 96 mila miliardi di dollari, e il nostro debito pubblico su cui ci incartiamo da una vita è pari a nemmeno 3 mila miliardi, c’è un solo fondo come Black Rock che capitalizza 10 mila miliardi di attivo. Morale: la la finanza condiziona la politica e non viceversa come nel precedente millennio
Per un governo che punta ad abbassare le tasse, quello dei Bond tax potrebbe diventare uno strumento politico eccellente poiché consente l’abbassamento delle tasse con un miglioramento delle condizioni della finanza stessa dello Stato. E al contempo permette a Meloni e soci di approcciare Bruxelles con un altro atteggiamento.
Ma Bruxelles da quest’orecchio non ci sente. E la cosa è facilmente comprensibile se si considera la conformazione stessa dell’Unione Europea e la sempre più evidente divaricazione degli obiettivi di ciascun Paese membro. Difficile accettare che un fondatore come l’Italia, guardato storicamente a vista come debitore eccellente e tenuto in scacco per la sua stessa natura, possa affrancarsi improvvisamente dal giogo e tornare ad avere voce in capitolo nelle scelte di fondo, a maggior ragione se rappresentato da un governo forte di un deciso consenso popolare.
A ciò si aggiunge la dipendenza di Bruxelles dalle scelte strategiche di Washington, che sta vivendo una crisi egemonica della propria economia: cresce meno della Cina, continua ad importare più di quello che esporta, accumulando un pesante passivo, che ha raggiunto la cifra record di 18 mila miliardi. Un debito nelle mani, considerate “nemiche”, di Pechino e di altri attori ubicati nell’Est del mondo. E’ evidente, quindi, che in questa prospettiva per Biden un’Europa forte, con Paesi come l’Italia che risolvano l’annosa questione del debito, non sia una soluzione auspicabile. Tutt’altro.
Ma forse vale la pena di insistere, facendo finalmente suonare la sveglia dello sviluppo per un Paese pigro, incapace di osare e immaginare una crescita, depresso da un debito che però troppo spesso, negli ultimi decenni, è stato usato come copertura di scelte pavide e recessive.