Editoriale

Le dita nel Novecento: in questa sera del dì di festa dell’Occidente…

di Tommaso Cerno -


Le dita nel Novecento; in questa sera del dì di festa dell’Occidente…

di TOMMASO CERNO

In questa sera del dì di festa dell’Occidente, prepariamo tutto l’occorrente per la grande guerra di inizio secolo. Come a metà degli anni dieci del Novecento, spostati di qualche grado più a sud, ritroviamo tutti i segnali militari, sociali e morali del conflitto senza un preciso confine. Tanto che l’idea è quella che basterà un incidente, dentro questa immane carneficina, per vederla materializzarsi con una forza che non immaginiamo.

Ma se i forti siamo noi davvero, perché non ce ne siamo accorti? Sta succedendo forse qualcosa anche a noi, che non sembriamo pronti a entrare in una nuova era, qualcosa che ci riporti con i sentimenti e con le parole dentro gli anni più drammatici del secolo scorso. Se ci ascoltiamo mentre parliamo a tavola con gli amici, ci renderemo conto di come negli ultimi due anni sia cambiato tutto di noi. Come l’abitudine della morte è rientrata nella quotidianità, con quelle idea tutta occidentale che non sia qualcosa che ci riguarda davvero, con quel sentimento di estraneità morale che ci fa sentire sempre protagonisti e al tempo stesso spettatori di qualcosa di lontano, qualcosa che noi giudichiamo e che professiamo di saper guidare.

Eppure per come sta messa la situazione a Gaza questa sensazione svanirà presto, sostituita dalla consapevolezza che dentro questo conflitto noi ci siamo eccome, teniamo le dita infilate sotto la terra che brucia, teniamo nella nostra sicumera una parte importante delle responsabilità che stanno alla base di questo barbaro e ancora primitivo conflitto globale. Forse non ci rendiamo conto che le immagini che vediamo sono la sigla di un secolo che non si apre affatto all’insegna della pace e di un nuovo ordine, ma che rimette in discussione dalle fondamenta il progetto di sviluppo che l’Occidente aveva messo in campo dopo la caduta del muro di Berlino.

Sembra perfino inutile spiegare che le cose non stanno affatto così, che noi non stiamo più seduti in alto a guardare la terra che prende la forma che desideriamo ma al contrario abbiamo oggi il compito di scavare dentro i nostri principi di democrazia per ritrovare quella direzione che può imprimere ai fatti delle ultime settimane un esito diverso da quello che le immagini dei telegiornali sembrano ormai dirci essere il finale: una guerra che dividerà il mondo è che spaccherà l’Occidente.

Noi passiamo le giornate a spiegarci chi ha ragione, convinti che l’analisi e la politicizzazione di questa guerra ci dia la risposta giusta. Ma non sarà così. Perché ciò che vediamo non è più la conseguenza di un progetto politico irrealizzato, ma una resa dei conti globale che mette a nudo la debolezza della nostra visione e delle nostre alleanze, che erano state entrambe costruite sulla base di un presupposto che non c’è più: che avremmo deciso noi cosa era giusto e che cosa non lo era, mentre ciò che sta succedendo nella Striscia ci mostra come la reazione democratica trasferita all’azione di Israele sia esattamente lo scenario che i terroristi di Hamas, che ormai sono uno dei soggetti politici alternativi al nostro modello più forti del mondo islamico, avevano sperato. E in fondo avevano progettato.

Questo ci porta verso una lotta che farà un effetto boomerang proprio in casa nostra, portando ogni giorno di più a una compattezza ideale per quanto macabra dei popoli arabi intorno a un disegno islamista folle ma molto concreto, mentre genererà spaccature e divisioni profonde nell’Occidente. Portandoci alla presa d’atto che la nostra dimensione di governo del sistema politico e militare è ormai incapace di unire davvero i popoli democratici e di trovare consenso ampio.


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