Manovra, è il giorno del giudizio
Manovra, oggi è il giorno del giudizio. O, almeno, oggi ci sarà il primo degli appuntamenti decisivi del governo con le agenzie di rating. Si comincia con Standard & Poor’s, a novembre sarà poi la volta di Fitch e Moody’s. Il governo, o meglio il Ministero dell’Economia e delle Finanze retto da Giancarlo Giorgetti, non ha la minima intenzione di farsi trovare impreparato. E blinda la manovra. Dando un messaggio chiaro, chiarissimo, che dai ministeri s’è diffuso immediatamente dai gruppi parlamentari fino a ogni costola, gruppo dirigente tematico e territoriale, di ogni partito che fa parte della maggioranza. Non ci sono soldi e non c’è tempo. O, meglio: non sarà tollerata nessuna pretesa, alcuna presentazione di emendamenti, nemmeno un piccolo fallo da ostruzione. Il ddl con la manovra è finito. Ma fonti governative e parlamentari insistono sul fatto che una piccola scappatoia viene comunque riconosciuta. Il fondo per gli emendamenti, infatti, sarà finanziato con 400 milioni di euro. Non tantissimi ma nemmeno pochi, anzi. Considerando che si tratta di una manovra da 24 miliardi. Ingessata dagli interessi più alti da dover corrispondere agli investitori a causa dell’aumento dei tassi di interesse stabilito dai falchi della Bce e imbrigliata dal caos Superbonus. In un momento storico in cui si combattono ben due guerre, tra Ucraina e Medio Oriente, e il carovita sta bruciando quei pochi risparmi che rimangono agli italiani.
La partita si è giocata, e si giocherà, sulla spending review. Giorgetti, stando a quanto assicurano fonti politiche, avrebbe “convinto” i suoi colleghi ministri a decidersi, una buona volta a tagliare. E lo avrebbe fatto utilizzando uno stratagemma che avrebbe fatto la fortuna di un annalista dei tempi antichi. Si racconta, infatti, che avrebbe spedito a ogni dicastero un elenco di date. La prima, cerchiata in rosso, è quella di oggi. Si tratta dei giorni in cui le agenzie di rating avrebbero espresso il loro parere sulla stabilità e sulle potenzialità del Paese. Il giudizio sulla manovra, con tutto quello che ne consegue. Insomma, ha richiamato tutti all’ordine facendo intendere, con i numeri e le scadenze, quello che ha già sibilato tempo fa a quei (pochi) “sovranisti” che rimangono in maggioranza. L’unica cosa davvero sovrana, in Italia, è il debito. E se le agenzie di rating dicono che è junk, cioè spazzatura, siamo tutti davvero rovinati.
La maggioranza ostenta, da settimane, solidità e quadratura. Nessuno si azzarderà a mettere i bastoni tra le ruote né a Giorgetti né al governo. La manovra è qualcosa di troppo serio e di troppo “obbligato”, oggi, perché si possa (dopo appena un anno netto di governo…) mettere già in discussione la tenuta del centrodestra. Da Palazzo Chigi, l’ordine è netto. Anche perché l’Italia si gioca, con le agenzie di rating, la partita della vita. Oggi, anzi stasera quando i mercati saranno chiusi, Standard & Poor’s svelerà se manterrà o meno l’attuale giudizio sull’Italia. Tripla B, con outlook stabile. Non certo esaltante, ma di sicuro mantenere questo rating eviterebbe al Paese il rischio di una retrocessione al livello junk che pregiudicherebbe le chance di sviluppo e di ripresa dell’Italia. Dopo il giudizio di S&P, la palla passerà a Fitch che si pronuncerà il 10 novembre prossimo. Pure secondo Fitch, l’Italia è valutata BBB con outlook stabile. La partita più delicata, però, si giocherà all’ultima giornata del girone di ferro delle agenzie. Il 17 novembre toccherà a Moody’s che ha valutato l’Italia BAA3 con outlook, però, negativo. In pratica, si pensa di poter declassare la “qualità” del debito pubblico italiano. Dovesse andare così, per l’Italia si aprirebbe una fase dai risvolti potenzialmente pesantissimi. Per il momento, però, non c’è ancora da fasciarsi la testa. C’è da tagliare, da rispettare le tabelle predisposte dal Mef, da votare compatti e fiduciosi. Anche perché l’iter parlamentare della manovra partirà proprio in mezzo ai giudizi delle agenzie. A fine mese, infatti, la discussione partirà al Senato. E da lì, poi, ci sarà tempo per eventuali aggiustamenti, dibattiti e analisi politiche. Possibilmente poche, puntuali e spedite. Anche perché, dall’opposizione, o meglio dai sindacati, già soffiano venti di guerra.
Si parla già di sciopero generale. Il giudizio sulla manovra, per le sigle sindacali, è già dato. La Cgil è già sulle barricate e si dice disposta ad avviare una mobilitazione totale già da novembre che possa culminare “fino allo sciopero generale contro una manovra totalmente rinunciataria, insufficiente e all’insegna del ritorno all’austerità”. Una legge di bilancio che per il sindacato di Maurizio Landini “non dà risposte alle tante emergenze del Paese, aggravandole”. Il ritrovato protagonismo della Cgil, e della Uil che la segue e precede sul terreno della protesta contro il governo, incontra un’apertura da parte della Cisl. Che però chiarisce: sì alla mobilitazione a patto che lo si faccia anche nei confronti delle Regioni, su quei temi che sono di competenza locale.
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