Attualità

Sul filo del Patto, non solo stabilità ma crescita

di Giovanni Vasso -


Finora ha privilegiato solo la “stabilità”, stavolta il Patto dovrà tener fede anche all’altra sua ragione sociale: la crescita. L’equilibrio da cercare sarà tra solidità dei conti e spesa intelligente, tra investimenti e piano di rientro. Non sarà facile. Siamo in tempi di guerra. Tra Ucraina e Israele. In un contesto globale che presagisce una lotta, ferocissima, da cui sorgeranno nuovi equilibri geopolitici. Ogni Paese ha i suoi guai, persino la Germania. Berlino, da sempre capitale dell’austerità e del rigore, si trova a fronteggiare quell’incubo chiamato recessione. L’Europa è alle prese con l’inflazione che galoppa, i tassi alle stelle e vede sfumare gli obiettivi che s’è posta da anni. Primo fra tutti, quello legato alla transizione ecologica e digitale. Di fronte al fallimento epocale e alla necessità di sopravvivere al presente, pone, perciò, il solito interrogativo: che fare? Intanto, Ursula von der Leyen ha ingaggiato, come consulente, Mario Draghi. E la musica già sta iniziando a cambiare da quando a Bruxelles hanno cominciato a dare, di nuovo, ascolto all’uomo del whatever it takes. L’equilibrio è possibile e passa attraverso una rivoluzione che pare solo lessicale ma che, in realtà, è sostanziale: debito non è tabù.
All’Ecofin tenutosi in Lussemburgo, le parti sono sembrate più vicine. A piccoli passi, si viaggia spediti verso la redazione del nuovo Patto di stabilità e di crescita. In cui, stavolta, la parola “crescita” dovrà essere davvero presente, decisiva. Sì, gli Stati membri dovranno impegnarsi a rientrare dal debito che hanno accumulato. No, rientrare non vuol dire che un Paese non potrà né dovrà più indebitarsi. La stessa parola, “debito”, che per anni è stata demonizzata torna centrale nell’equilibrio che l’Ue deve ritrovare per darsi un futuro senza essere costretta a fare dietrofront sui fronti di guerra né su quelli economici. Bruno Le Maire, ministro dell’Economia francese, ha proposto alla Germania un’entente cordiale basata su una nuova concezione del debito: “Dobbiamo puntare ad una riduzione del debito, una riduzione che sia credibile e progressiva ma dobbiamo anche concordare sul fatto che l’obiettivo non è avere il livello di debito pubblico più basso possibile ma è avere un livello di debito sostenibile, compatibile con la crescita e con gli investimenti che tutti considerano assolutamente essenziali, investimenti per la transizione climatica e investimenti per la difesa e la sicurezza, in un contesto internazionale particolarmente turbolento e difficile”. Una posizione che fa felice Giancarlo Giorgetti: “Gli investimenti pubblici e le spese legate alle priorità europee, inclusa la difesa, sono obiettivi politici strategici, che le nostre regole di bilancio non possono ignorare. Ciò è anche vero per gli impegni assunti nei Piani di ripresa e resilienza: gli Stati membri devono essere messi nella posizione di poter realizzare le misure concordate”. Per il ministro italiano è cruciale che si arrivi a una conclusione “entro il 2023”. E su questo, lo rassicurano le parole della ministra spagnola Nadia Calviño che ha rassicurato: “La tabella di marcia è chiara. Continueremo gli scambi formali e informali nei prossimi giorni e settimane, con l’obiettivo di presentare una proposta giuridica nel prossimo incontro, in modo da poter aprire la fase finale di questi negoziati, avviare seriamente i negoziati politici, con l’obiettivo di raggiungere un accordo entro la fine dell’anno, in modo che le nuove regole possano essere applicate a partire dal 1 gennaio 2024”.
Ma Berlino, da parte sua, non molla. Le parole sono importanti. In fondo, in tedesco, si usa la stessa parola per “debito” e “colpa”, Schuld, e nessuno, in Germania, vuol finire all’Inferno dell’insolvenza. Il ministro Lindner, perciò, continua a squadernare numeri, tabelle e tappe, più o meno forzate, per costringere gli Stati a sganciare: “In circostanze economiche normali il deficit deve essere sotto il 3% e suggeriamo un margine di sicurezza rispetto al riferimento del 3%. Dobbiamo trovare in che modo possiamo combinare questo riferimento del deficit alla salvaguardia, in un modo che concordiamo tutti, bisogna fare molto più lavoro tecnico”. Forse una posizione resa più netta dalla volontà di cedere meno in sede negoziale. Ma intanto, Berlino incassa l’apertura che arriva da Valdis Dombrovskis, che non è proprio una colomba della spesa pubblica: “È cruciale raggiungere consensus su regole realistiche e, anche dato il contesto attuale di alti tassi, dobbiamo riportare le finanze pubbliche in carreggiata mentre assicuriamo risorse per gli investimenti”.

Gli Usa hanno inviato il loro messaggio all’Ue: “Spero che l’accordo finale, incentivando livelli di debito sostenibili, permetta di perseguire investimenti favorevoli alla crescita”, ha detto la segretaria di Stato Janet Yellen. Insomma, il Patto non deve essere più solo di stabilità, come lo è stato negli ultimi trent’anni, ma anche di crescita. Altrimenti, per l’Ue, il baratro è dietro l’angolo.


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