La morte allo specchio: siamo di nuovo soli di fronte al terrorismo…
La morte allo specchio: siamo di nuovo soli di fronte al terrorismo
di TOMMASO CERNO
Siamo di nuovo soli di fronte al terrorismo. Noi che avevamo detto di avere capito tutto. Noi che avevamo pensato di avere vinto una guerra. Noi che abbiamo immaginato di conoscere i drammi dell’Oriente meglio di quanto conosciamo i limiti della nostra democrazia contemporanea. Sta succedendo una cosa molto semplice in questo mondo. Che mentre noi alziamo il tono quando pronunciamo le parole che rappresentano i valori simbolo della nostra libertà e della nostra visione del mondo non ci rendiamo conto che la forza che li ha animati negli scorsi decenni si è affievolita, così come è più debole il sostegno ideale che essi trovano fra milioni di cittadini in crisi d’identità.
È ovvio che ciò che sta succedendo in Israele è colpa di Hamas, ma è altrettanto evidente che il vuoto in cui questo terrore è penetrato non l’ha generato solo Israele, che vive comunque uno dei momenti più bassi della sua democrazia, ma anche un Occidente che non fa più da contrappeso a forze del terrore che hanno oggi la spocchia e anche le capacità tecniche di ergersi al livello di Stati belligeranti. Ciò che sta per succedere nella striscia di Gaza è drammatico e probabilmente inevitabile. Non sappiamo davvero a cosa porterà e se servirà. Ma la vera domanda che ci dobbiamo fare è se poteva essere evitato.
Se questo attacco programmato da anni da parte di una forza militare islamista e di stampo terroristico tramutatasi in Stato fantasma che alza la sua voce e chiama a raccolta il terrore della jihad sotto le insegne internazionali dell’Isis poteva davvero essere arginato. Non dobbiamo chiedercelo per pentirci di ciò che faremo. Dobbiamo chiedercelo per evitare che lo step successivo sia peggiore di quello che stiamo inconsapevolmente affrontando, dopo essere stati riconosciuti per decenni dal mondo certo come capitalisti usurpatori ma anche come quelli che avevano creato il sistema più moderno di governo e di controllo degli stati di crisi del sistema politico internazionale.
Vedere morire ragazzi è una sconfitta della nostra cultura e se anche può essere comprensibile e giusto attribuire la colpa a qualcuno e lavarsi la coscienza per il fatto di stare dalla parte buona, ciò che stiamo vedendo e che sta per succedere ci dice qualcosa di più. E cioè che se il nostro modello funzionasse e si comportasse come l’avevamo progettato, noi non dovremmo trovarci di fronte a questo dilemma, non solo non dovremmo avere dubbi sulle responsabilità ma non dovremmo avere morti di questo tipo da commentare. Perché se una democrazia è compiuta ma si rende conto che nell’accelerare la sua idea di progresso ha dimenticato troppi pezzi di sé indietro ha il compito di fermarsi, voltarsi dall’altra parte, e cercare di capire perché è successo.
Altrimenti un giorno anche a queste democrazie verrà il dubbio che tutta questa sicumera e tutta la nostra facilità nel dirci i buoni di un mondo di cattivi non è davvero l’immagine che diamo nel mondo e soprattutto, guardando bene i fatti, è una scorciatoia che come il tempo rischia di non essere sufficiente a convincere non tanto loro, tanto meno i terroristi con i quali non c’è nulla da spartire né da discutere, ma i nostri cittadini che si pongono sempre di più la stessa domanda: ma siamo sicuri che ci stanno raccontando tutta la verità?
Ecco, se un regime può vivere su questo dubbio, può addirittura alimentarsi interrogativi di questo tipo, una democrazia finisce per soccombere sotto il peso di una ambiguità, che magari nasce solo dalle omissioni di una parte della verità, e termina con il mostrare il lato peggiore di sé, quello della sfiducia che poi, come si usa dire di questi tempi, prende la forma del populismo e attribuisce quindi al popolo una dimensione monocolore e unitaria che in realtà non ha e non vorrebbe avere.
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