La bellezza questa sconosciuta – Il saggio “Il bello, la musica e il potere”
Saggio “Il bello, la musica e il potere”
di ANNALINA GRASSO
Il concetto di bello, il politicamente corretto, la funzione dei media sono i temi principali contenuti nell’incandescente saggio di Antonello Cresti e Roberto Michelangelo Giordi, “Il bello, la musica, e il potere”, pubblicato quest’ anno da Mariù edizioni. I due autori indagano dialogando tra loro, senza lesina provocazioni e sarcasmo, sul rapporto tra arte e potere in Occidente. Il mondo globalizzato ha davvero perduto la percezione del bello? Qual è il rapporto tra la bellezza e il potere e in che modo l’Occidente vive oggi il suo rapporto con le Arti e con la Musica in primo luogo? La riflessione portata avanti da Cresti e Giordi, si snoda attraverso l’analisi storica dell’esperienza estetica occidentale per arrivare a toccare le problematiche della realtà in cui viviamo. Il disinteresse verso la bellezza è infatti allo stesso tempo causa ed effetto della crisi di valori della nostra società, e solo recuperando e valorizzando le nostre vituperate identità profonde potremo traghettarci fuori dal non senso, verso la luce di una nuova, antica, umanità.
Come è nata l’idea di scrivere un saggio a quattro mani? Chi ha preso l’iniziativa?
L’idea è partita da Antonello il quale mi ha proposto di dialogare sul declino della musica in Occidente. Io ho rilanciato la mia volontà con l’intento di sottolineare la relazione tra bellezza e potere.
Nel saggio, alla domanda di Cresti, se è il potere a generare l’arte, lei ha risposto in modo affermativo, e ha chiesto a sua volta quale bellezza potrebbe mai donare il potere del capitale. Non crede che perlomeno il capitalismo possa donare la libertà di scelta a differenza della dittatura?
Più che altro il potere dà un senso all’arte, la legittima, ma non la genera. Nessun atto creativo può venire dal potere: la creazione è un atto spontaneo ed anarchico. Ci siamo chiesti “quale potere ci domina oggigiorno?”. Entrambi conveniamo che a governarci sia esclusivamente la legge del capitale, la quale, a differenza di quella divina e di quella del Re, di un’oligarchia o di una democrazia, è una legge senza pensiero. Forse è l’uscita dall’umano e dal divino, quella che oggi vive la nostra società, alla base della diffusione del brutto. Quando il capitale domina su tutto l’individuo smarrisce la sua doppia natura, divina e umana. Il capitalismo riduce tutto a merce e concedendoci soltanto un’illusione di libertà.
Si può bilanciare la crescita della tecnica e del mercato promuovendo la cultura e la tradizione, il valore della bellezza, la priorità dell’essere sull’avere, l’amor fati come accettazione della vita, proponendo la funzione sociale del capitalismo?
Per bilanciare il potere del capitale occorrerebbe ridonare centralità alla dimensione collettiva: basterebbe riportare in auge le teorie di Keynes, tanto demonizzate oggigiorno e stimolare la reale funzione pedagogica della scuola e dei mezzi di comunicazione.
La modernità ormai vuol dire considerare la realtà come il riflesso di un’ideologia. Perché questo è pericoloso secondo lei?
Credo che la storia del mondo sia sempre stata contraddistinta dal dispiegamento di ideologie. Mi sono sempre tenuto lontano dalla passiva accettazione dell’ideologia che impone il potere. Non mi illudo certo di sottrarmi ad esse: sottrarsi significa stare fuori dal mondo come individui, ma criticarle fortemente, finché questo è possibile, lo farò sempre. Per fortuna posso dire ancora liberamente di sentirmi molto distante dall’ideologia del neoliberismo che nega la sua stessa natura ideologica e di dominio.
Parliamo di dibattito: di fatto un solo argomento monopolizza l’informazione, per un tempo determinato, rendendola mono-tematica e risolvendola in un’onnipresente narrazione emergenziale. Perché l’informazione è così opaca e induce l’utente al meccanismo del cherry picking?
Credo che la monopolizzazione sia legata alle logiche di intrattenimento: più l’audience cresce più aumenta lo spazio per le pubblicità e di conseguenza il capitale.
Le masse sono felici o infelici? O la pensa come Leopardi secondo il quale una massa felice è composta di individui non felici?
Un popolo dominato non è attivo e quindi non può essere veramente felice. In pratica è il potere a rendere infelici le masse, quale più quale meno. L’arte, un po’ come la religione, viene in soccorso ai popoli per riscattarli dalla loro miserevole condizione esistenziale.
Il ‘sistema dell’arte’, prima ideologizzato, ora schiavo del metro di misura del mercato. L’arte non può assolutamente finire tra le grinfie del mercato poiché questo la priva del suo anelito trascendentale.
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