Editoriale

Se l’Europa è una comparsa

di Tommaso Cerno -


Se l’Europa è una comparsa

di TOMMASO CERNO

La sensazione di una guerra più grande che ha come protagonisti gli estremi di un nuovo mondo e che esclude l’Europa da ogni decisione si è fatta più nitida dopo l’attacco di Hamas contro Israele. E mentre noi cerchiamo di capire perché all’improvviso, dobbiamo ritornare a scenari che credevamo scomparsi nel secolo scorso, mentre rispolveriamo le parole d’ordine della democrazia distinguendo invasori da invasi e terroristi da Stati democratici, abbiamo la netta sensazione di non contare più nulla in tutte queste dinamiche.

Sembra che il mondo vada avanti per una strada diversa dalla nostra, mentre noi ci scanniamo tra buoni e cattivi. Siamo talmente rintronati da questo nuovo ruolo di comparse dopo due millenni di centralità da non renderci conto che non abbiamo più nemmeno il coraggio di affermare quelle differenze di visione che per tutto il Novecento hanno connotato lo scontro tra destra e sinistra proprio sui temi che stanno alla base dei due conflitti che si svolgono a pochi chilometri da noi. Conflitti che oggi ci sembrano sfuggire a qualunque controllo e che fino a pochi mesi fa pensavamo di possedere, di essere capaci di analizzare e prevedere, di sviscerare.

Dopo esserci dilettati in grandi fughe colte su Russia e Ucraina, quando ormai un anno e mezzo fa tutti ci siamo sentiti investiti del compito di sapere tutto del mondo slavo, è la volta di israeliani e palestinesi. La versione a due colori della più complicata vicenda dell’umanità contemporanea fa davvero capire a che punto siamo. E come il nostro modello ormai si basa su un tifo precostituito che divide in due il Paese, per il solo fatto che diventa inutile pensare e quindi comodo aderire a un’opinione che viene presentata dal partito di riferimento come un prodotto confezionato del supermercato pronto all’uso. E anche qui è tutto semplice. Anche più semplice di quanto fosse stato districarsi tra Mosca e Kiev. Perché là abbiamo un dittatore che invade, un popolo invaso, quante volte l’abbiamo sentito ripetere, per cui tutto il resto della storia passa in secondo piano nel nome della democrazia.

Qui abbiamo un paese democratico attaccato dai terroristi. Per cui la spaziatura è ancora più esigua, e il posizionamento dell’Occidente al fianco di Israele è scontato. Ed è proprio qui in questa semplificazione della modernità che hanno origine tutti i nostri guai. Perché il nostro stato di minorità, che vediamo anche con la crisi finanziaria e l’emergenza migranti, ci ha resi incapaci di attingere al patrimonio culturale e al ruolo politico del Novecento, quello che segnò lo sviluppo e la dialettica politica più feroce della storia proprio in Europa, patrimonio che sarebbe oggi in grado di avere una posizione antagonista fra destra e sinistra non sull’attacco terroristico a Tel Aviv ma sulle soluzioni alla questione israeliano-palestinese e alle responsabilità occidentali sulla morte tornata protagonista nei territori occupati e nello Stato di Israele.

Ma vedrete che non sarà così perché il puzzle che si sta componendo ai due nuovi lati del pianeta non ci interroga più sulle grandi questioni. E sta creando una nuova grammatica che serve per interpretare davvero le cause e gli effetti di quanto abbiamo sotto gli occhi. In questo l’America, pur indebolita, gioca da protagonista. Così come la Cina, l’India, il mondo arabo. Chi manca clamorosamente all’appello è l’Europa. Che appare davanti a noi come un’entità burocratica e lobbistica, priva di natura politica, fortissima nell’imporre strategie finanziarie ai Paesi membri ma del tutto inutile quando si tratta di imporre percorsi internazionali sul tema della guerra e sul tema delle migrazioni.

Lo dimostra il fatto che la Nato si è sostituita di nuovo all’Europa in tema di politica estera e di difesa, esattamente il contrario di quello che doveva essere l’esito del percorso avviato dopo il crollo del muro di Berlino negli scorsi tre decenni dove proprio il vecchio continente aveva lavorato per costruire una difesa comune capace di superare l’ultima sigla internazionale sopravvissuta alla guerra fredda. E come si vede è proprio a quegli anni che stiamo tornando.


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