Addio a Ciriaco De Mita, padre dell’arco costituzionale
Se n’è andato a 94 anni l’ex segretario della Dc, figura di spicco dell’Irpinia e della prima repubblica: a lui va attribuita l’esclusione del Msi da processi decisionali nazionali e la nascita del cattocomunismo
CIRIACO DE MITA
È morto ieri notte in una clinica di Avellino l’ex presidente del Consiglio Ciriaco De Mita. Era nato 94 anni prima a pochi chilometri di distanza, a Nusco, conosciuto come il “balcone dell’Irpinia”. E De Mita, durante la sua lunga carriera politica, ha costruito un ideale balcone che dall’Irpinia si è affacciato sul resto d’Italia. Apparteneva, infatti, a quella generazione di politici della prima repubblica strettamente legati al proprio territorio d’origine. Per De Mita l’Irpinia non era soltanto un “buen ritiro”, un ricordo dell’infanzia, bensì il fondamento del suo impegno politico sulle orme di Fiorentino Sullo, altro esponente della sinistra Dc originario di quelle parti. Sapeva che nulla ha più valore del consenso dei propri compaesani. E sapeva anche che il consenso va coltivato, blandito, rimpinguato costantemente. Legame che gli provocò una ridda di sospetti. Era il 3 dicembre 1988 quando L’Unità, allora diretto da Massimo D’Alema, aprì con il caustico titolo in prima pagina: “De Mita si è arricchito con il terremoto”. Il riferimento era al sisma che colpì l’Irpinia il 23 novembre 1980. Ne seguì una diatriba giudiziaria e nel 2008 in un’intervista al Corriere della Sera dichiarò che D’Alema si era scusato con lui ammettendo che i sospetti erano sbagliati. Storie vecchie. Ma il legame con la sua terra lo testimoniò anche molto più di recente: il 26 maggio 2014, esattamente otto anni prima di morire, quando si candidò e venne eletto sindaco della sua Nusco. Un cerchio che si chiuse, dopo essersi aperto nel lontano 1953 con l’adesione alla corrente “Sinistra di Base” a seguito dell’incontro con Beniamino Andreatta all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove De Mita conseguirà la laurea con lode in Giurisprudenza. Il cerchio è stato costellato di impegni d’alto lignaggio: ministro, segretario della Dc, presidente del Consiglio, eurodeputato, presidente della Commissione per le riforme istituzionali. I politici di oggi e di ieri lo hanno ricordato in queste ore come una mente raffinata e un protagonista della storia della Repubblica. Fu protagonista, in effetti, in un tornante storico destinato a segnare i destini politici della nazione. Fu, per sua stessa ammissione, l’inventore del concetto di arco costituzionale, quella sorta di arroccamento partitico che escludeva dai processi politici nazionali il Movimento sociale italiano. Di tale principio ve ne fu una declinazione quirinalizia nel 1971, alle elezioni che portarono alla presidenza della Repubblica Giovanni Leone: una parte della Dc indicò la candidatura di Amintore Fanfani. “Io, che ero vicesegretario, mi opposi non al nome, ma al metodo adottato”, raccontava lo stesso De Mita in un’intervista a Il Mattino nel novembre scorso. Per il politico irpino, la Dc doveva farsi invece garante di una scelta condivisa da tutti i partiti che avevano elaborato e approvato la Costituzione. “Senza discriminare il Msi”, precisava De Mita, il patto tra i partiti “affidava alle forze politiche artefici della Carta costituzionale il compito della riforma e del riordino delle Istituzioni”. De Mita distillava bene le parole: sottolineava che il Msi non era discriminato sapendo che il verbo “discriminare” assume una valenza negativa, ma di fatto l’arco costituzionale fu una discriminazione, l’isolamento della destra italiana. Non solo: l’arco costituzionale rappresentò l’innesco di una contaminazione tra democristiani, comunisti e liberali che darà vita anni più tardi al compromesso storico e all’attuazione politica del cattocomunismo. L’alleanza tra democristiani e comunisti sopravvivrà alla prima repubblica e avrà il sigillo nel 1996 con la nascita, sostenuta non a caso dallo stesso De Mita, de L’Ulivo, la coalizione di centro-sinistra che ancora oggi con la sua propaggine Pd occupa una larghissima fetta di potere. Esperto di alleanze, ebbe modo di dimostrarlo negli anni 80 quando cercò e trovò una sponda in Bettino Craxi, malgrado i due fossero convinti avversari, per restare alla presidenza del Consiglio di un governo formato dalla coalizione del pentapartito. Negli ultimi tempi andava dicendo: “Quando morirò, seppellitemi con un biglietto in cui ci sia scritto ‘sono democristiano’. Al presente”.
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