Kyiv, Ucraina, Europa. Oggi
Kyiv, Ucraina, Europa. Oggi
di FRANCESCO NICOLA MARIA PETRICONE*
Padre Taras mi viene a prendere alla stazione di Kyiv quando sono da poco passate le cinque del mattino. La polizia lo ha fermato perché è dovuto uscire un po’ prima della fine del coprifuoco.
È ancora buio e il traffico è già intenso. Una normale città europea che si prepara ad affrontare un’altra giornata di lavoro. E di guerra. Come tutti, percorriamo velocemente il piazzale antistante l’entrata, per raggiungere al più presto la macchina. In caso di attacco, ci sarebbe poco tempo per mettersi al riparo.
Da ormai un anno e mezzo Kyiv, Ucraina, Europa, ha regolato i propri ritmi di vita sull’orologio dei bombardamenti. Eppure, quando si percorrono le strade a piedi o si scende nella metropolitana, durante il giorno, sembra di stare a Roma o in un’altra capitale dell’Unione europea. Negozi, scuole, università e uffici sono tutti aperti, regolarmente, su Boulevard Taras Shevchenko e ad Heroiv Nebesnoi Sotni Alley, poco lontano da piazza Majdan, un tempo famosa per i concerti all’aperto, oggi palcoscenico degli appelli per l’invio di aiuti e di armi per respingere l’aggressore. Kyiv, Ucraina, Europa, una città normale, moderna, dinamica. In guerra.
“I miei suoceri raccontano dello stupore degli occupanti perché pure in quel piccolo paesino a 20 chilometri dal confine con la Bielorussia c’era internet e luce pubblica in strada” ricorda padre Taras, sposato con Elena, ottima cuoca, tre figli piccoli. Già, perché in Ucraina internet corre a 4G e qualunque cosa, dal biglietto della metropolitana, al ristorante, si paga contactless, con il cellulare. Non c’è traccia di macerie nella capitale. A pochi metri dall’università, l’incrocio colpito un anno fa in pieno giorno durante l’ora in cui studenti, professori, gente comune stava andando al lavoro, è completamente riasfaltato.
“La traccia di tutto questo resta però in noi” sorride amaro Volodymyr Burgrov, rettore dell’università Taras Shevchenko, che mi ospita per la presentazione della ricerca ‘Woman Today’. L’aula al primo piano del Dipartimento di Filologia è gremita di studentesse, oltre cento forse, e gli unici uomini siamo Bohdan, studente del secondo anno, ed io. Sorridono e parlano tra loro in attesa che inizi la conferenza. Anche quegli occhi si intristiscono però quando ricordano compagni e docenti dell’università morti nel conflitto imposto dall’aggressore, a partire dall’occupazione della Crimea e del Donbass.
“In questi ultimi nove anni, dal 2014, il risultato ottenuto dall’aggressore è stato esattamente l’opposto di quello sperato” mi dice il collega Anton Hrushetskyi, vicedirettore dell’Istituto internazionale di sociologia di Kyiv, mentre mi accompagna per le vie di Podil, il quartiere storico della città. “I sondaggi che si diffondevano tra la popolazione prima del 2014 sul territorio al quale erano più legati, indicavano al primo posto la città, poi la regione e quindi l’Ucraina. Oggi, oltre il 90 per cento di chi risponde dichiara che la terra che sentono più vicina è la loro nazione, tutta, zone occupate per prime”. È tempo di tornare a casa, prima che scatti il coprifuoco.
Prendo la metropolitana fino a Livoberezhna e mi fermo a cena da True price, in Mykilsko Slobidska, dove si mangia bene e si paga poco. Naturalmente con il contactless. Perché qui siamo a Kyiv, Ucraina, Europa.
(2. Continua)
*Professore ordinario di Sociologia dei fenomeni politici e giuridici, titolare della cattedra di Studi Globali e Regionali nella facoltà di Scienze Politiche e internazionali della LUMSA Università. È il consigliere per le politiche sociali del Presidente del Consiglio. Le opinioni espresse nell’articolo sono personali
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