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Panetta, Amato e l’eredità di Kennedy: Così l’America mostra la faccia feroce

di Redazione -


Panetta, Amato e l’eredità di Kennedy. Così l’America mostra la faccia feroce – di FRANCESCO DA RIVA GRECHI

L’amarcord della visita a Roma di John Fitzgerald Kennedy, sessant’anni or sono, grazie alla sapiente regia del Centro Studi Americani e del suo Presidente Gianni De Gennaro, ha risparmiato le lacrime e la nostalgia per approdare alle asciutte analisi del premiato, già Direttore della CIA e Segretario di Stato alla difesa negli Stati Uniti, Leon Panetta. Contraddittore prescelto, il Presidente Emerito della Consulta, Giuliano Amato. Ovviamente la guerra in Ucraina ha monopolizzato il menù, né poteva essere diversamente.

Il contesto rievocativo, da parte italiana, si è intrecciato e riannodato alla narrazione del presente, con la consueta diretta semplicità del discorso pubblico delle Autorità statunitensi: più Nato, più forza, più unità, mai indietreggiare di un passo e soprattutto l’infusione di speranza e di fiducia rivolta alle fredde, distaccate ed abbastanza incredule orecchie della platea. Leon Panetta ha addirittura parlato di questo autunno od inverno come scadenza per una possibile svolta nella guerra a favore delle truppe ucraine. Giuliano Amato, invece, si è preoccupato soprattutto di trasmettere questa energia alle stanchissime membra dei rappresentanti della sinistra italiana di cui nessuno ha comunque potuto rilevare l’eventuale presenza in sala. Ha ricordato i propri viaggi negli Stati Uniti, da giovane socialista affamato di miti ed ideali, per i quali Kennedy, primo Presidente cattolico, seguito solo dall’attuale Joe Biden, è stato chiaramente un catalizzatore formidabile. Le immagini rievocative, molto suggestive, di Rai Cultura, hanno testimoniato infatti la presenza, al centro della scena, soprattutto delle altissime gerarchie vaticane, nonché dei nostri statisti, Antonio Segni al Quirinale, Giovanni Leone a Palazzo Chigi e Giulio Andreotti al Ministero della difesa, alle prese con un centrosinistra ancora tutto da costruire, siamo nel luglio del 1963, e pronto a guidare la nuova frontiera del capitalismo italiano, ben sostenuto dalla impetuosa economia americana.

Quanto a Leon Panetta, ha celebrato le proprie origini calabresi essendo discendente di due genitori, entrambi emigrati dalla Calabria in California, per gestire un ristorante e successivamente acquistare una “farm in Carmel Valley”, dove Panetta è cresciuto, ma soprattutto ha espresso a chiare lettere l’orientamento della amministrazione democratica, molto duro contro Putin perché gli avversari della democrazia, russi e cinesi, sono più forti rispetto ai tempi di Kennedy, che pure dovette fronteggiare la crisi di Cuba. Quindi il messaggio, raccolto anche dal presidente emerito Amato, è stato: quanto più duri sono i cinesi, tanto più duri devono essere gli occidentali contro Putin e, per gli ucraini in particolare, che debbono sempre sentirsi protetti e sostenuti, e quindi armati, da una Nato solida e compatta. Almeno finché ci sono i democratici alla Casa Bianca, sembrava rinforzare il discorso Giuliano Amato, tornato ironicamente nelle vesti del dottor sottile nella stanza dei bottoni. Grazie all’involontario assist fornito dal ribelle delfino di Donald Trump, Ron DeSantis, anch’egli italo americano, governatore della Florida, di sponda repubblicana, che ha iniziato a diffondere l’idea di poter limitare il coinvolgimento americano nella guerra di difesa contro l’aggressione di Putin, si è anche accennato, naturalmente da parte italiana, alla campagna per le primarie negli Stati Uniti, ed è quindi aleggiato lo spettro del disimpegno che potrebbe seguire ad un cambio di amministrazione alla Casa Bianca.

A parere di chi scrive, si tratta comunque di una situazione nella quale l’allentamento della presa da parte Nato si profila alquanto improbabile, non solo per la ferrea dimostrazione di unità e determinazione data da Leon Panetta, ma soprattutto per la narrazione che, per quanto incentrata sulla nozione di democrazia, tradizionalmente trascende i confini del partito democratico americano, perché di essa è intrisa la stessa identità della nazione statunitense. La nuova frontiera atlantica si risolve di nuovo nella vecchia democrazia che evidentemente gli Stati Uniti hanno fatto bene a presidiare con il ben noto furore ideologico visto che piuttosto che di fine della storia come si parlava a cavallo del cambio di secolo, è più facile oggi parlare di fine dell’identità occidentale, oltreché dello stesso modello di governo democratico almeno in Europa.


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