Politica

Little Big Meloni: la premier diserta la cena con Biden e scoppia il giallo diplomatico

di Rita Cavallaro -


Giorgia Meloni la cena con Biden alla Casa Bianca e scoppia il giallo diplomatico
Ma per Giorgia ora la priorità sono gli accordi con l’Africa per fermare gli sbarchi

Nessuno sgarbo istituzionale, nessun mistero e nemmeno l’intricata dietrologia che da giorni riempie le analisi degli opinionisti sui giornali. Per spiegare il motivo per cui Giorgia Meloni ha disertato la cena alla Casa Bianca con il presidente Usa basterebbe semplicemente credere alla spiegazione della premier, che negli ultimi mesi ha più volte incontrato Joe Biden, con il quale, in faccia a faccia privati sia a Washington che in India, ha affrontato le questioni cardine di politica internazionale tanto cari alla leader di Fratelli d’Italia. Se ciò non fosse abbastanza, allora, si potrebbe fare ricorso alla fisica, scomodando il principio del “rasoio di Occam”, che stabilisce come, tra più soluzioni equamente valide, sia preferibile scegliere la spiegazione più semplice.

Al netto delle teorie del complotto, dunque, è semplice capire che la premier Meloni, martedì sera, non aveva proprio nulla da dire a Sleepy Joe, un presidente che, nonostante i proclami, rischia di non essere ricandidato alle prossime elezioni del 2024. Un presidente che cade sui gradini dell’aereo e che sarebbe affetto da vuoti di memoria, tanto da mostrarsi in molte occasioni spaesato e inadeguato. La spiegazione più semplice è che Meloni abbia già tracciato e confermato, al numero uno della Casa Bianca, la posizione atlantista dell’Italia, l’impegno nella Nato, le questioni di primario interesse per il nostro Paese. L’agenda di Giorgia è sempre la stessa, non c’è bisogno di rimarcarla in ogni incontro, perché lei, a differenza di altri premier del passato, non deve elemosinare nulla. Per Giorgia repetita non iuvant e, se alle parole non seguono i fatti, la postura di un leader le impone di non prostrarsi davanti all’uomo che guida sì una superpotenza, ma che certo non può più atteggiarsi a padrone del mondo, come nei decenni precedenti alla globalizzazione e alla crescita di Cina e Russia. Senza contare che lo stesso presidente Usa ha una bella gatta da pelare nel suo Paese, tirato per la giacchetta dalle lobby delle armi, del petrolio, del digitale e da chi più ne ha più ne metta. Un uomo anziano, che rassicura i capi degli altri Stati nei bilaterali e poi non perfeziona gli accordi, prendendo tempo, che tanto la fine del mandato è vicina. Nel mentre continua a perdere consenso nell’elettorato a causa dell’appoggio incondizionato alla guerra di Zelensky contro la Russia. Sono sempre di più gli americani che non condividono la posizione degli Usa con Kiev, quel continuo invio di armi e di milioni di dollari all’Ucraina, in un momento in cui l’America sta vivendo una serie di difficoltà economiche importanti. L’indizio di un possibile raffreddamento dei rapporti con Kiev si nasconde, nemmeno così tanto velatamente per gli analisti più smaliziati, nello scoop uscito pochi giorni fa sul New York Times, in cui il gotha del giornalismo internazionale punta il dito contro l’Ucraina, rivelando che la strage di civili al mercato di Donetsk non fu opera di Vladimir Putin, ma venne causata per errore da un attacco ucraino. Da Kiev nessuna smentita e, in questo clima, diventa significativo il fatto che mercoledì, per la prima volta, al Consiglio di sicurezza dell’Onu si siano ritrovati nella stessa stanza, per il loro discorso, proprio Zelensky e il ministro russo Sergey Lavrov.

Meloni non è andata neppure all’Onu, e non perché l’Italia abbia cambiato la linea di appoggio a Kiev, sempre salda e coesa con i principi dell’atlantismo, ma semplicemente, ancora per il rasoio di Occam, Giorgia aveva cose più importanti da fare. Non dovrebbe essere difficile capire quanto le priorità del nostro governo siano cambiate, di fronte all’invasione dei migranti e a uno scenario che vede la guerra in stallo, con il fallimento della controffensiva ucraina. La premier ha preferito mandare il ministro degli Esteri Antonio Tajani all’Onu e partecipare in prima persona a una serie di bilaterali alle Nazioni Unite con i presidenti dei Paesi africani, ai quali ha illustrato il Piano Mattei per l’Africa e i provvedimenti allo studio contro l’immigrazione, oggi la maggiore priorità dell’Esecutivo. L’obiettivo è chiaro, cercare di fermare le partenze, e per farlo è fondamentale la collaborazione dei paesi di provenienza. Dunque, se in un consesso andava in scena l’azione diplomatica riguardo a scenari aulicamente strategici, in un’altra stanza Giorgia parlava con i rappresentanti di Senegal, Guinea, Kenia e Algeria di questioni più volgari, nel vero senso della parola, visto che riguardano i problemi di un popolo, gli italiani, stanchi dei continui sbarchi e di essere lasciati soli ad affrontare un’invasione che sta trasformando il Belpaese nel più grande campo profughi d’Europa. È ai cittadini che la premier, lo sostiene da sempre, deve dare risposte, mettendo perfino da parte gli incontri con i big o un discorso al Consiglio di sicurezza, se questo coincide con un fondamentale incontro con i “little”. Sic parvis magna. Perché, a volte, è dalle piccole cose che vengono quelle grandi.


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