La fiaba di Sior Intento
Come nella fiaba di Sior Intento ormai il gioco dei migranti è chiaro a tutti. Quando governa la sinistra arrivano dappertutto nel nome dell’accoglienza. Quando c’è la destra arrivano dappertutto nel nome dell’emergenza. Ma anche un fesso si rende conto che ormai questo gioco delle parti fra due soluzioni improponibili, quella di fermarli tutti e quella di accogliere di tutti, ci mostra come l’Europa si senta al centro del mondo in cui invece ha un ruolo sempre più marginale.
E’ una questione di prospettiva, di saper capire bene dove siamo, di uscire da questa nostra tentazione di guardare la storia come immanente, e di comprendere solo alla fine che il nostro ruolo dentro un pianeta del tutto diverso da quello che per millenni abbiamo contribuito a costruire è meno forte e soprattutto meno legato alle nostre esigenze e alle nostre prerogative. Dobbiamo affrontare il tema dei migranti rendendoci conto che non siamo soli su questa terra. E che non siamo abbastanza grandi e abbastanza forti per poter risolvere un problema che non è dell’Europa o dell’Africa, ma è la derivata di politiche internazionali che stanno costruendo una diversa polarità sul pianeta.
Ecco perché sembra ormai evidente che qualunque confine l’Europa voglia difendere è troppo tardi, si tratta di comprendere quale sia la strada per cui il fenomeno dell’immigrazione possa venire gestito non dove arriva ma dove parte. Che non significa che da un giorno all’altro riusciremo a farli crescere in casa loro. Ma significa che non possiamo selezionare il loro arrivo, mi rendo conto che è un brutto verbo ma è l’unico possibile, quando sono già arrivati anche gli altri. Quelli che non avremmo selezionato.
Quello che dobbiamo quindi fare è spostare nei luoghi di provenienza le strutture che avremmo dovuto costruire nei luoghi di arrivo. Visto che non ce l’abbiamo fatta a realizzarle davvero sul territorio europeo, basta vedere l’Italia che non è provvista di strutture adeguate all’identificazione, al controllo delle identità, a un primo soggiorno nel Paese, per poi dividere chi può restare da chi deve tornare indietro. Dobbiamo approfittare del nostro storico ritardo per andare direttamente in Africa a realizzare quello che in Italia non siamo stati capaci di fare finora.
Si tratta di comprendere come il mar Mediterraneo non sia affatto un confine Fra i due continenti ma funzioni come un passaggio non soltanto praticabile, pur con rischi enormi come vediamo nelle drammatiche cronache dei naufragi, ma di fatto costituisca parte del territorio europeo non dal punto di vista politico o giuridico ma dal punto di vista sociale. Non appena una imbarcazione, sia essa clandestina o criminale, come anche supportata dalle organizzazioni non governative, è in rotta verso l’Italia, tutto il sistema delle leggi si comporta come se questa nave fosse già arrivata sul territorio dell’Unione Europea.
E’ questo che non funziona e che ci spinge a immaginare una selezione regolamentata da norme precise, che devono tenere conto delle diverse esigenze, quella di chi scappa davvero da guerre e quella di chi invece cerca la fortuna nell’Occidente, forte magari di una preparazione scolastica o tecnica, che deve avvenire sul territorio africano. Noi dobbiamo immaginare quindi che l’Europa intervenga attraverso strutture tecniche anche private con cui stringe accordi precisi e con cui sottoscrive regole di ingaggio, che vengano messe al lavoro molto prima che queste persone disperate arrivino a imbarcarsi verso l’Europa.
È l’unica strada possibile. E lo dimostra il fatto che le dinamiche economiche e militari, così come quelle sociali e politiche dell’Africa, non sono gestibili né dall’Unione Europea né dalla Nato, ma derivano da una miriade di fattori internazionali che coinvolgono l’intero pianeta, le scelte fatte in passato e quelle derivate dalla guerra in corso, togliendo alla nostra autorità politica gli strumenti per intervenire davvero ma lasciando alla nostra cultura l’obbligo di fare tutto da soli. È questo che deve cambiare. Ed è questo su cui le organizzazioni internazionali devono trovare con l’Europa un’intesa strategica.
Esiste la possibilità di mettere i governi nella condizione di inventare una nuova struttura emanazione dei nostri governi che si rechi in Africa fisicamente e in accordo con gli Stati del nord gestisca questa migrazione biblica. Immaginare che gli strumenti ordinari con cui abbiamo affrontato il tema negli ultimi vent’anni possano davvero diventare efficaci solo perché in uno dei tanti Paesi che compongono l’Europa vince un governo piuttosto che un altro può significare solo due cose. Essere dei sognatori. Essere dei bugiardi.
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