Contro i femminicidi il codice è “in rosso”
La legge del Codice Rosso per tutelare le donne dalla violenza c’è, ma non ci sono i fondi
L’avvocato Manente: “Servono corsi di formazione per i magistrati”.
Marisa, Rossella, Anna, Sofia, Giulia e il suo piccolo Thiago mai nato. È la lunga scia di nomi, soltanto gli ultimi, finita sulle lapidi dei cimiteri italiani. Donne la cui unica colpa è stata quella di voler mettere fine a un amore malato, uccise brutalmente da uomini violenti e così tanto perversi da non voler perdere il controllo emotivo sulle loro vittime, percepite al pari di un oggetto e non certo come persone libere di scegliere la propria indipendenza. Un fenomeno che, ormai, sta sfuggendo di mano, se consideriamo che in Italia, dall’inizio dell’anno, sono 80 le vittime di femminicidio e il nostro Paese si piazza al quinto posto in Europa per numero di donne ammazzate per mano degli ex. Di fronte all’emergenza la politica corre ai ripari, con nuove proposte di legge e perfino app che forniscono supporto in caso di emergenza. Eppure la legge c’è già, quel codice rosso che ha segnato comunque uno spartiacque nel vuoto normativo contro la violenza di genere.
“Il codice rosso va migliorato, ma non è la mancanza di legge che provoca la mancata tutela delle donne. È invece una mancata formazione e specializzazione dei magistrati, che non prendono in seria considerazione le dichiarazioni delle donne e non agiscono in maniera tempestiva”, spiega l’avvocato Teresa Manente, responsabile dell’ufficio legale di Differenza Donna e da trent’anni in prima linea nella lotta al contrasto del fenomeno. “Questa legge attuale ha gli strumenti per poter dare protezione immediata alle vittime e alle persone offese e per prevenire ulteriori conseguenze, purtroppo c’è una sottovalutazione”, ha garantito Manente, “come nell’ultimo atroce delitto di Marisa Leo, la ragazza uccisa a Marsala, che aveva denunciato l’ex per stalking. Che cosa è stato fatto? È vero che Marisa aveva rimesso la querela, ma il magistrato doveva essere in grado di capire il rischio e decidere diversamente. La legge prevede anche questo, nel senso che la valutazione del rischio spetta alla magistratura e non deve ricadere esclusivamente sulla donna”.
Errori di valutazione, che avvengono più spesso di quanto si possa pensare. “Anche negli altri casi di femminicidio verificatisi questa estate, a due responsabili era stata data la sospensione della pena, uno aveva dichiarato che sarebbe andato a un corso di recupero. Non può essere così, il giudice deve sapere che quando una donna denuncia fatti gravi all’interno delle relazioni di intimità questi sono crimini esecrabili che vanno valutati in maniera estremamente precisa e scrupolosa. Purtroppo vengono sottovalutati”, ribadisce Manente. Così come avviene nell’applicazione delle misure cautelari, soprattutto per quanto riguarda gli ordini di allontanamento. Spiega il legale di Differenza Donna: “Se oggi un magistrato emette un ordine di non avvicinamento alla vittima di soli 100 metri, ma che c’è bisogno di una legge che preveda che la distanza non debba essere inferiore a 500 metri? Non è che con questa legge non sia possibile capire che 100 metri di distanza non sono nulla. Allora per quale motivo un giudice applica una misura cautelare di soli 100 metri? Che significa? Il punto è sempre lo stesso: viene sottovalutata la pericolosità. Purtroppo siamo di fronte alla minimizzazione, perché la verità è che ancora non si vuole prendere in considerazione quanto questi siano reati gravi, non conflitti familiari”.
E allora, cosa fare per arginare quella che sta diventando una vera e propria piaga sociale? La ricetta, per l’avvocato Manente, è una rivoluzione culturale che preveda due elementi fondamentali: formazione e sensibilizzazione. “Ma non si può fare senza investire fondi economici”, avverte il legale. “Vi sembra normale che anche il codice rosso prevede tutte quelle norme senza che sia stato stanziato alcun fondo? Così è una battaglia impossibile”, aggiunge, “perché non si può fare una rivoluzione culturale, combattere un fenomeno sociale e politico così grave senza investire un euro”. Il governo, più che trovare nuovi strumenti normativi, dovrebbe dunque reperire soldi per mettere in campo programmi tesi a far funzionare le leggi che già esistono. Spiega la penalista: “Prevalgono ancora pregiudizi e stereotipi che minimizzano e confondono questi gravi reati con un semplice conflitto familiare. Le persone non sono adeguatamente formate e specializzate, non sono sensibilizzate verso questo problema. Il codice rosso può essere anche modificato, e le modifiche le abbiamo proposte, ma siamo consapevoli che se mettiamo leggi ma non aggiungiamo degli investimenti economici per un’adeguata formazione e per una campagna capillare di sensibilizzazione sui mass media riguardo alla gravità di questo fenomeno sociale, noi non ne usciremo. Ci vuole una rivoluzione culturale sulla presa di consapevolezza della gravità della violenza maschile nei confronti delle donne, soprattutto nelle relazioni di intimità. Questi sono atti punitivi verso la libertà che le donne stanno manifestando, è questa la verità”. E conclude: “Se non cambieremo il modo di percepire il fenomeno, non vinceremo questa battaglia”.
Torna alle notizie in home