Così perdiamo l’Africa per l’ambiguità dell’Ue
MARIO GIRO DEMOS
Così perdiamo l’Africa per l’ambiguità dell’Ue
di MARIO GIRO*
Colpi di stato a ripetizione in Africa francofona. E’ la fine della relazione privilegiata tra Parigi e le sue ex colonie? Molti pensano che tale rapporto fosse già in crisi da tempo, almeno da un decennio, anche se gli interessi economici delle grandi imprese transalpine continueranno ad operare, business as usual. Com’è noto all’indomani delle indipendenze degli anni Sessanta, Parigi aveva fatto in modo di mettere al potere personalità vicine e dipendenti dal sistema francese. Era un modo per restare “grande”, che De Gaulle utilizzava dopo la sconfitta del 1940 e la perdita delle colonie nel sud est asiatico.
Ridare l’onore alla Francia nel mondo e offrirle un’influenza globale rendeva necessario, secondo il generale, mantenere un legame con le ex colonie africane che fosse più stringente di quello britannico del Commonwealth. Si pensò addirittura ad una Unione Francese, poi lasciata cadere per non vedere un africano o un arabo accedere all’Eliseo, come la legge dei grandi numeri avrebbe primo o poi permesso.
Nacque così ciò che per decenni è stata chiamata la Françafrique, un insieme ibrido di indipendenze formali e dipendenza sostanziale, a cui partecipava anche la moneta unica (il franco CFA cioè della comunità finanziaria africana) garantito dalla banca di Francia.
Ciò restituì un’autorità globale alla Francia alle Nazioni Unite, ma fu anche causa di molte spese per coprire gli innumerevoli buchi dei bilanci degli alleati africani. Diede anche luogo a numerosi colpi di stato decisi all’Eliseo, eliminazioni di presidenti non troppo fedeli, complotti segreti e congiure, il tutto coperto dalla grande giustificazione della guerra fredda.
Si tratta della parte oscura della Françafrique, su cui sono state scritte biblioteche. D’altro canto non è mai venuto meno a Parigi il partito degli oppositori a tale sistema, soprattutto perché costava molto e lasciava tracce ambigue e conti politici in sospeso. Le cose continuarono così fino alla caduta del muro di Berlino, quando gli americani non videro più l’interesse di controllare parte del continente mediante Parigi.
Anche la Francia era stanca: nel 1990 François Mitterrand diede il via libero al multipartitismo e alle libere elezioni ma si trattò di una maschera. Troppi erano i legami e le interconnessioni per scioglierli in fretta. Molti regimi cambiarono solo abito e si trasformarono in democrature poco rispettose dei diritti. Fu invece il liberismo del Fondo monetario, coi piani di aggiustamento strutturale e poi la logica della competitività della globalizzazione che seguì, a distruggere il “campo francese” e le sue trame. Non più risanamenti dei debiti ma nuove regole stringenti che diminuirono la torta e il clientelismo (per lo più etnico) che ne conseguiva.
Gli stati non furono più in grado di provvedere ai bisogni di base come sanità ed educazione, e andarono impoverendosi, diventando sempre più violenti per mantenere il controllo. L’arrivo degli investimenti cinesi non è stato sufficiente a colmare la fine del welfare africano, ma è servito soltanto ad aumentare lo spazio della privatizzazione galoppante.
Ecco perché i giovani africani, dopo vent’anni di questa “cura”, applaudono qualunque militare che li illuda, promettendo di ridare loro un po’ dell’orgoglio perduto. Ecco anche perché molti si accalcano sui barconi per venire da noi rischiando la vita: non c’è pull factor che tenga, c’è solo un enorme push factor che consiste nel non credere più che i propri paesi abbiano un futuro.
Ci sono stati anche errori politici puntuali, come la dissennata decisione di distruggere la Libia di Gheddafi ottenendo in cambio la fine dello Stato libico e l’attuale delle milizie con cui è illusorio trattare. Anche l’intervento francese in Mali in funzione anti-jihadista, si è trasformato in un boomerang per non essere stato portato a termine, trasformando l’accoglienza calorosa del 2013 nella collera antifrancese di oggi, e causando l’arrivo dei russi.
Esiste certo anche una responsabilità africana: l’illusione nelle soluzioni autoritarie, il perenne vittimismo, l’odio etnico, l’inganno ideologico. Dividere il mondo tra “coloniale e anticoloniale” –come fa la propaganda russa- è una semplificazione pericolosa che non porterà a nulla. La verità è che oggi l’Africa è sola, e l’Europa anche. dopo tante ambiguità, ricostruire un rapporto normale sarà difficile.
*già viceministro degli Esteri
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