Blitz al Parco Verde: perché Caivano non basta
L'operazione interforze di carabinieri, polizia e Guardia di Finanza nel quartiere 'Parco Verde' di Caivano, in provincia di Napoli, 5 settembre 2023. ANSA NPK
Blitz interforze a Parco Verde, dove sono state stuprate le due cuginette di 10 e 12 anni.
Scoperto un covo con armi, esplosivi e droga nella più grande piazza di spaccio d’Italia
La guerra contro la criminalità a Caivano ha avuto inizio. Il blitz interforze al Parco Verde è stata la prima risposta dello Stato dopo la visita di Giorgia Meloni. Nel quartiere teatro dello stupro delle due cuginette di 10 e 12 anni, oltre 400 uomini hanno dato il via a un controllo straordinario ad “Alto Impatto”, così l’hanno definito, che ha portato alla luce il vero volto del Parco Verde, dove boss e spacciatori tengono in ostaggio famiglie disagiate, dove la gioventù cresce nei disvalori credendo che l’illegalità sia la normalità e che i soldi si facciano spacciando droga o vendendo armi. Polizia, carabinieri e guardia di finanza hanno setacciato l’area palmo palmo, sequestrato mazzette di soldi di illecita provenienza e perfino proiettili da guerra.
Blitz al Parco Verde: il bottino nascosto
Nello specifico i militari dell’Arma hanno trovato una busta contenente 30mila euro e altri contanti per un valore ulteriore di 44mila euro. Durante il blitz sono stati individuati una serie di appartamenti disabitati e trasformati in vere e proprie piazze di spaccio della zona, ormai considerata una dei più grandi minimarket d’Europa per lo smercio della droga. Una sorta di fortini dei trafficanti, protetti da porte blindate, sistemi di videosorveglianza e da un servizio di vedette, per lo più giovanissimi, che garantiscono la “sicurezza” durante il via vai di clienti. All’interno di una di queste “case del crack”, i militari hanno rivenuto molotov, coltelli, due pistole e 170 proiettili, 150 dei quali per kalashnikov. Poi ovviamente diversi tipi di stupefacenti: 408 grammi di hashish, 375 di marijuana e 28 di cocaina, oltre a bilancini di precisione e materiale utile al confezionamento delle sostanze. Controlli a tappeto pure sulle persone, con 141 soggetti identificati, e perfino sulla regolarità delle occupazioni degli immobili. In uno dei palazzoni perlustrati c’era addirittura un altare votivo, con tanto di candele e fiori, dedicato a un boss della zona. Un altarino già demolito in un precedente blitz del 2020, ma ricostruito nuovamente dai “fedeli”, che continuavano a recarsi davanti alla foto del capo per venerarlo.
Infine in un’altra abitazione un allevamento illegale di animali esotici, tra cui uccelli protetti dalla Cites e scoiattoli di Prevost. In una gabbia erano detenuti illegalmente cuccioli di pastore tedesco. Per i proprietari è scattata la denuncia per illecita detenzione e maltrattamento di animali. Insomma, una casba della malavita locale, che ieri si è vista infliggere il primo colpo. E non sarà certo l’ultimo, come ha promesso la premier Meloni, subito dopo l’incontro con don Maurizio Patricello, il prete anticamorra che da anni cerca di sottrarre i giovani dalle grinfie del degrado del Parco Verde. “È iniziata la bonifica, è solo l’inizio di quel lungo percorso che il Governo si è impegnato a portare avanti per ripristinare legalità e sicurezza e per far sentire forte la presenza dello Stato ai cittadini. E gettare così le basi per la ricostruzione sociale e la rinascita del territorio. Contro la criminalità procederemo sempre spediti e senza esitazioni. Affinché in Italia non ci siano più zone franche”, ha scritto la premier su X.
Perché nel nostro Paese non c’è solo Caivano e sono ancora troppi gli avamposti nelle periferie, finiti nelle mani della criminalità organizzata. Non ne è indenne nemmeno la Capitale, crocevia di trafficanti che riforniscono le due più importanti piazze di spaccio del centro Italia. San Basilio, il quartiere della coca sulla Nomentana, ormai permeato da affiliati della ‘ndrangheta. Anche di giorno chiunque entra con la macchina sulla via principale che porta ai palazzi dello spaccio viene monitorato a vista dalle vedette, che informano i capi del passaggio e dell’arrivo delle forze dell’ordine. E poi c’è Tor Bella Monaca, l’estrema periferia sud sulla Casilina, un quartiere ghetto di palazzoni popolari gestito dal racket delle occupazioni abusive. Un mercato della droga a cielo aperto, protetto da telecamere di sorveglianza installate a vista su cancellate e portoni blindati, accessibili solo agli spacciatori a libro paga. Dietro le facciate degradate si nascondono appartamenti lussuosissimi, con home theatre, mobili antichi e rubinetti d’oro, in perfetto stile Casamonica. Una grande Caivano romana, non solo per le somiglianze urbanistiche, ma anche per l’origine geografica delle famiglie che la controllano.
Il super boss indiscusso Michele Senese, detto O’ Pazzo, è il capo del clan camorristico che da Afragola, negli anni Settanta, ha impiantato nel quadrante delle Torri una succursale del mercato degli stupefacenti. Il gruppo malavitoso, nel tempo e con la collaborazione del clan romano dei Moccia, ha affiancato ai fiumi di droga tutta una serie di affari illeciti che, grazie alla compiacenza di insospettabili prestanomi, si ramificano in attività economiche all’apparenza legali. Dunque difficili da disarticolare, perché necessitano di indagini a tutto campo e non di interventi spot. Ieri la battaglia di Meloni per riportare la legalità è partita da Caivano, ma per vincere la guerra contro i boss sarà necessaria una rivoluzione socioculturale nelle periferie del Belpaese, che metta insieme sicurezza e azioni educative.
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