Viespoli: “Il neo regionalismo è un tragico errore. Così si cancella il Sud dalla Costituzione”
PASQUALE VIESPOLI POLITICO
di PASQUALE VIESPOLI*
La riforma del titolo V della Costituzione risale al 2001. Questa fu votata, a fine legislatura, dall’allora campo largo di centrosinistra. Per circa un ventennio una riforma, pur di rilevante impatto, è rimasta sotto traccia. Non ha mai conquistato il centro del dibattito politico-istituzionale. Quanto ai contenuti è rimasta, e per molti aspetti lo è ancora, una sorta di oggetto misterioso. Da qualche anno, per via dell’iniziativa dei governatori del Nord e in particolare di quelli leghisti, anche attraverso iniziative di mobilitazione come il referendum in Veneto e Lombardia, l’autonomia differenziata è diventata uno dei principali punti dell’agenda delle riforme. Con la vittoria del centrodestra l’autonomia differenziata è diventata addirittura prioritaria. Il primo paradosso, però, è il sostanziale capovolgimento dei ruoli.
Il centrodestra, in particolare la destra, che non ha approvato la riforma nel 2001, non solo per ragioni di schieramento, ma per profonde ragioni di ordine culturale e divisione nazionale, diventa il soggetto attuatore della riforma, mentre il centrosinistra che approvò la riforma, manipolando la Costituzione, per fini elettorali e in particolare per competere con la Lega sulla questione settentrionale, ne contesta l’impianto, denunciando con forza il rischio divisivo e di rottura dell’unità nazionale. È evidente, quindi, la reciproca strumentalità e la falsa contrapposizione tra forze che si distinguono per le modalità attuative e non per l’alternatività delle posizioni.
Nel frattempo, nel silenzio generalizzato, si sono già verificati due danni. Dopo il Covid è emersa l’esigenza di ripensare il sistema sanitario per superare la frantumazione regionalista e recuperare ruolo e funzione dello Stato nazionale. S’imponeva, dunque, una riflessione ancora più ampia sull’esito del regionalismo alla luce di oltre cinquanta anni di esperienza non certamente esaltante. Ed invece si è imboccata la strada di un neo-regionalismo ancora più accentuato, una sorta di regionalismo del terzo tipo dopo quello né ordinario, né speciale, ma differenziato. È un tragico errore anche rispetto ai grandi cambiamenti epocali. La risposta neo-regionalista è del tutto inappropriata e inadeguata sia per il Nord che per il Sud. Il secondo danno accertato, invece, è che estrapolare la questione dell’autonomia differenziata dalla riforma del titolo V impedisce che si affronti, come sarebbe doveroso, se non fosse altro per ragione di sistema, una vera riforma organica della riforma del titolo V, che infatti perché si continua a ignorare l’impatto devastante, a mio avviso, sulle istituzioni e sulla coesione nazionale del testo del 2001.
Restano incredibilmente ai margini dell’attenzione almeno due grandi questioni. La prima è che con la riforma del titolo V si depotenzia il ruolo e la funzione dello Stato, che viene ridotto a pari livello del Comune, della Provincia, dell’area metropolitana e della Regione. Dalla verticalità delle istituzioni si passa all’orizzontalità delle istituzioni, quando invece ci sarebbe bisogno di più Stato. Il secondo aspetto è che, con la più volte citata riforma, il Sud viene cancellato dalla Costituzione. Non a caso, nel testo originario, c’era un esplicito riferimento al Mezzogiorno e alle isole perché il superamento dello squilibrio Nord-Sud costituiva un interesse nazionale e un elemento fondativo della Repubblica. Cancellare il Meridione dalla Costituzione, ribadisco, non è solo un fatto nominalistico. Ha una valenza simbolica straordinaria. Si cancella una missione nazionale e non è un caso che anziché ricomporsi le fratture territoriali crescono e si allargano. L’autonomia differenziata non è certo la risposta per recuperare visione istituzionale e coesione nazionale. Il rischio vero è che si sprechi la stagione delle riforme necessarie. L’Italia vive dentro una evidente crisi di sistema. Bisognerebbe aprire una vera e propria stagione costituente, riportando a centralità la sovranità popolare perché le riforme e i mutamenti istituzionali e costituzionali diventino tali da recuperare il distacco sempre più ampio tra cittadini e istituzioni. Fino a ora non mi pare si vada in questa direzione, da destra a sinistra.
*già sindaco di Benevento e sottosegretario di Stato al ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali
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