Noto: “Il premierato piace agli italiani e non solo a quelli di destra. Lo stesso non vale per l’autonomia”
ANTONIO NOTO SONDAGGISTA E DIRETTORE DI IPR MARKETING
di EDOARDO SIRIGNANO
“Il premierato piace agli italiani, non solo a quelli di destra. Stesso discorso non vale per l’autonomia, la quale non convince neanche il Nord del Paese”. A dirlo il sondaggista Antonio Noto.
Gli italiani sono favorevoli o meno al premierato?
Se con questo termine intendiamo l’elezione diretta del presidente piace e non poco. È un dato storico, non dell’ultimo mese. Gli italiani la pensavano, allo stesso modo, anche prima del governo Meloni.
Il tema fa breccia più a destra o a sinistra?
È trasversale. Non c’è una netta prevalenza di un’area politica rispetto a un’altra. Il concetto del premierato che convince l’opinione pubblica è il seguente: il cittadino deve scegliere chi guida il Paese. Non c’è, d’altronde, chi non vuole che i cittadini siano maggiormente coinvolti nelle decisioni.
In tanti, però, vogliono diversificarsi sull’argomento. Calenda, ad esempio, ha rotto con Renzi proprio sulle riforme. L’opinione pubblica a chi darà ragione?
Se le persone, in maggioranza, vogliono il premierato probabilmente daranno ragione a chi ha sposato questa battaglia. Detto ciò, non è un tema che scalda più di tanto gli animi della gente comune.
Quali sono le priorità in questo autunno?
Economia, sanità e lavoro. Ciò, però, non significa che uno Stato non debba affrontare le riforme istituzionali. Se chiedi a un italiano se è favorevole a un presidente votato dalla gente è certamente d’accordo, ma se invece vuoi da chiunque sapere cosa dovrebbe fare la politica nei prossimi mesi ti dirà che i problemi sono altri. Urgenza viene percepita la lotta alla disoccupazione e agli aumenti. Stiamo parlando, comunque, di cose indipendenti tra loro. Se metto mano alle riforme, non significa che intendo dimenticarmi del lavoro.
Sulle riforme altro nodo complesso è quello sull’autonomia. Come viene visto dagli italiani?
Assolutamente no! Il massimo della contrarietà c’è al Sud, ma neanche il Nord, al contrario di come si dice, è così tanto favorevole. Non c’è il plebiscito che si vuol far passare.
I governatori dicono che rappresenta un ulteriore scippo per il Sud. È d’accordo?
Pochissimi sono coloro che sanno cosa si vuole realmente fare. Il fatto di per sé che questa battaglia abbia il cappello della Lega, pertanto, influisce sulla percezione della massa. Sembra un provvedimento fatto a favore del Nord e non di tutti. Il problema, quindi, non è tanto il contenuto che si vuole proporre, ma il racconto che viene proposto. È come se esistesse un partito del Sud che chiede l’indipendenza del Mezzogiorno. Chi vive a Milano lo guarderebbe con scetticismo.
La scelta giusta, magari, potrebbe essere ricorrere a un referendum. In questo caso, però, Meloni rischia di fare la fine di Renzi…
Sull’autonomia, in un certo senso, già c’è stato un referendum e non è successo niente. Importante è capire come gestirlo. Per Renzi è stato fatale perché ha alzato il tiro, ha fatto una scommessa. A Meloni basterà semplicemente non personalizzare. Interessante, d’altronde, capire quali sono le posizioni delle altre forze di maggioranza, a parte la Lega, sull’autonomia. Non conviene, ad esempio, a Forza Italia e Fratelli d’Italia, forze fortissime al Sud.
Una diversità di vedute che certifica la spaccatura all’interno della maggioranza di cui si parla tanto negli ultimi giorni…
Esiste su alcuni temi, ma è ininfluente. In questo momento, non c’è un’opposizione in grado di subentrare alla maggioranza. Una vera resa dei conti ci sarà probabilmente dopo le europee, quando ci sarà chi avrà guadagnato consenso e chi lo ha perso. Fino a quel momento, sono tutte normali fibrillazioni.
A seguito dell’ultima uscita di Vannacci, si parla della nascita di un soggetto politico più a destra di Meloni. Esiste lo spazio per un altro partito in quel campo?
Gli spazi ci sono sempre. Occorre, al contrario, capire quanto spazio possa ritagliarsi un partito del genere. Quando il Pci ha cambiato nome, fino a diventare Partito Democratico, Rifondazione Comunista arrivò addirittura al 10 per cento. Dopo qualche anno, però, è svanita. Lo stesso potrebbe accadere dall’altra parte dello schieramento. Meloni, spostandosi a centro, lascia aperto un campo. Ciò, però, non garantisce un successo a chi lo occupa.
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