Ci siamo: il Digital Services Act è finalmente entrato in vigore. Il nuovo regolamento Ue si rivolge a diciassette piattaforme individuate tra gli Over the Top digitali operanti in Europa. Ma esplode la polemica. Già perché la prima preoccupazione della Commissione Ue riguarda i contenuti e la possibilità di riconoscere, alle piattaforme, il diritto-dovere di cancellare subito quelli ritenuti dannosi o “falsi”. La lotta alle fake news ha fatto calare su Bruxelles accuse sanguinosissime. Che hanno costretto il commissario Ue al Mercato Interno, Thierry Breton, a intervenire su Twitter: “Il Dsa non sarà il Ministero della Verità ma rappresenta una grossa opportunità per le multinazionali del web”.
La “riforma” riguarda direttamente le più grandi piattaforme digitali dall’e-commerce fino ai social. Sono state chiamate ad adeguarsi alle nuove regole Ue Alibaba AliExpress, Amazon Store, Apple AppStore, Booking.com, Facebook, Google Play, Google Maps, Google Shopping, Instagram, LinkedIn, Pinterest, Snapchat, TikTok, Twitter (X), Wikipedia, YouTube e Zalando. Oltre a loro, nel mirino delle autorità Ue ci sono anche Google e Bing, due dei maggiori motori di ricerca.
Alcune delle novità previste all’interno del Dsa riguardano lo stop alla profilazione e la fine della pubblicità basata su dati sensibili e cioè sulle origini etniche, l’orientamento sessuale e le opinioni politiche. Alt alla pubblicità mirata sui minori, ok al parental control e a tutele più severe della privacy dei ragazzi e dei bambini. Le piattaforme, in ossequio al Digital Services Act, dovranno inoltre presentare ogni anno un piano di valutazione del rischio sui pericoli legati alla salute pubblica, specialmente quella mentale. Le piattaforme saranno sottoposte a controlli indipendenti regolari, non soltanto dalle autorità dell’Ue. Ma la novità vera è un’altra. Sembra che l’Ue abbia finalmente imparato che le sanzioni agli Over the Top vanno calcolate sulla base del loro fatturato. Chi sgarra, pagherà fino al 6% del suo giro d’affari. Se le violazioni proseguiranno, si rischia il ban dall’Europa.
La polemica però, non riguarda questi aspetti del nuovo regolamento. Bensì quelli legati alla moderazione dei contenuti pubblicati sulle piattaforme. È prevista, infatti, una sorta di automatismo per la rimozione di “contenuti illegali” e fake news, imposto un freno all’attività dei bot. Le piattaforme saranno considerate direttamente responsabili nei confronti degli utenti. Le condizioni di utilizzo dovranno essere semplificate e proposte in ciascuna lingua utilizzata all’interno dei 27 Stati membri. Gli annunci pubblicitari dovranno essere chiaramente etichettati e resi riconoscibili. Ma chi decide cosa è o non è “fake news”? E’ qui che insorge la polemica. Che, in Italia, è cavalcata dalla Lega. Gli eurodeputati leghisti parlano apertamente di “legge bavaglio” e in una nota dichiarano: “L’entrata in vigore del Digital service act, provvedimento che rafforzerà la censura su Internet, deciso passo in avanti verso la ’cinesizzazionè del concetto di libertà di espressione in Europa, ci allarma e ci preoccupa. Ancor più di quanto già avvenga adesso, qualcuno sarà autorizzato a far cancellare il contenuto dei pensieri dei cittadini, magari con il pretesto della lotta alle ’fake news’, magari con l’obiettivo di giungere alla campagna elettorale per le europee con l’anestetizzazione dei pensieri alternativi che saranno messi ai margini e contro cui la stessa Commissione europea spenderà molti soldi pubblici per promuovere sé stessa e le idee portate avanti dai partiti che hanno sostenuto Ursula von der Leyen e i suoi incompetenti commissari in questi anni”.
Ma la polemica è viva in tutta l’Ue. Al punto che Thierry Breton è costretto a intervenire per giurare e spergiurare che il Dsa non rappresenterà l’istituzione di un Miniver orwelliano in seno all’Ue.