Cultura & Spettacolo

Addio a Toto Cutugno, l’italiano più amato all’estero

di Giovanni Vasso -


Lasciatelo cantare, Toto Cutugno, l’italiano più amato all’estero, è morto. Aveva da poco compiuto ottant’anni. Era ricoverato all’ospedale San Raffaele di Milano. Era malato da tempo. L’annuncio della morte di Toto Cutugno è arrivato dalla sua casa discografica, la Carosello Record-Edizioni Curci, che in una nota ha scritto: “A poco più di un mese dal suo ottantesimo compleanno ci lascia Toto Cutugno uno degli artisti italiani più famosi di sempre. Cantautore da oltre 100 milioni di copie, esponente della musica italiana più noto in tutto il mondo, cantautore che ha saputo portare la semplicità e la tradizione della canzone italiana anche all’estero, un artista dalla straordinaria carriera che continuerà a ispirarci e unirci”.

Già, perché Toto Cutugno è stato davvero l’italiano più amato all’estero. Sicuramente più all’estero che in patria. Aver venduto cento milioni di dischi, nel mondo, vorrà pur dire qualcosa. Ma non è solo la contabilità a dargli ragione. Ma quello che ha lasciato dietro di sé. La sua musica, le sue canzoni, per esempio. Ha vinto una sola volta Sanremo, nel 1980. Poi tre decadi passate al secondo posto, dove si è piazzato per ben cinque edizioni. Ma a dargli ragione non è il verdetto dei giudici né della giuria popolare, ma ciò che rimane della sua musica. C’è una canzone, sulle altre, che è diventata il (vero?) inno nazionale italiano. Almeno, all’estero. Prima che Netflix reinventasse “Bella Ciao”, con quel successo globale che è stato La Casa di Carta, fuori dai confini nazionali, per far riferimento alla musica italiana si sentiva spesso intonare, con mille e un accento straniero, “Lasciatemi cantare”. Una canzone, peraltro, di cui si sono serviti decine e decine di film coevi. Oppure la saga dell’ispettore Nico Giraldi, interpretato dall’immortale Tomas Milian, per la precisione nel film “Delitto in Formula 1”. O, ancora, nel cult “Al Bar dello Sport”, con Lino Banfi e Jerry Calà. E pensare che Adriano Celentano, per il quale era stata scritta quella canzone, la rifiutò. Regalando l’immortalità artistica a Toto Cutugno.

Toto Cutugno è stato un’icona, specialmente nei Paesi dell’Est. È stato forse il più apprezzato tra le decine di artisti italiani anni ’80 che, tra Russia ed Europa orientale, hanno ritrovato una seconda giovinezza mentre, in Italia, su di loro cadeva un po’ la cappa dell’oblio. A Mosca e dintorni, Toto Cutugno era un mito. Al punto da intrecciare un ponte solidissimo tra Italia e Russia. Che si consolidò con l’esibizione, officiata da Fabio Fazio, sul palco dell’Ariston di Sanremo del coro dell’Armata russa, insieme allo stesso Cutugno, nella canzone sua più iconica, l’Italiano. Appunto. Era il 2013, appena dieci anni fa. Sembra passata un’era geologica. E non solo per gli sconvolgimenti geopolitici che, nel frattempo, si sono registrati sui sismografi politici internazionali.

Era nato in quell’angolo di Italia dove Liguria e Toscana si toccano. Era originario della provincia di Massa Carrara ma era cresciuto a La Spezia, dove ha mosso i primi passi nella musica. Cominciò a fare sul serio con gli Albatros, dove inizia a cantare. Quindi nella seconda metà degli anni ’70 inizia la sua ascesa. Tutta intrecciata al pop, a Sanremo e, dopo gli anni ’90, alla Russia e all’Est Europa.


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