Lavoro, l’ex ministro dem Damiano: “Fino a ora pochi risultati per la sinistra. Il tavolo con Giorgia un sasso nello stagno”
CESARE DAMIANO POLITICO
di EDOARDO SIRIGNANO
“La sinistra ha fatto opposizione senza spuntare, al momento, grandi risultati. Con questo tavolo, però, viene gettato un sasso nello stagno”. A dirlo l’ex ministro del Lavoro Cesare Damiano in un’intervista realizzata prima del confronto sul salario minimo tra la premier e le opposizioni.
Che idea si è fatto rispetto alla discussione in atto sul salario minimo?
Secondo i dati imparziali dell’Istat, in Italia esistono più di tre milioni di lavoratori poveri. Ciò può sembrare un paradosso per quelli della mia generazione, considerando che la nozione di lavoro per noi era abbinata a quella di benessere. Oggi non è più così. Affrontare il problema, quindi, è necessario. Il merito della proposta delle opposizioni è di aver sollevato la questione. Detto ciò, non credo che per risolverla sia sufficiente il salario minimo. Ritengo che, qualora venisse adottato insieme ad altre misure, potrà dare un contributo positivo. Non fossilizziamoci solo sul trattamento economico minimo, ma consideriamo che i contratti nazionali di lavoro affrontano il tema del trattamento economico complessivo, quello che fa la differenza perché è molto più ricco. Questo è il punto chiave per dare giuste retribuzioni accanto a una giusta normativa.
A cosa si riferisce?
Da vecchio sindacalista, negoziatore dei contratti degli anni 70-80 e 90, vorrei ricordare a tutti che il salario è sicuramente una componente essenziale. Accanto a essa, però, esistono diritti e tutele. Non possiamo rinunciare alle progressioni di carriera, agli scatti di anzianità, alle tutele per maternità, infortunio e malattia, alle maggiorazioni per prestazioni straordinarie, notturne e festive, alle ferie e festività, ai permessi retribuiti, alla previdenza e alla sanità complementari e al welfare aziendale. Quest’insieme costituisce la qualità e la ricchezza del rapporto di lavoro. Il salario minimo è solo una parte del tutto. Dobbiamo favorire, invece, un punto cardine.
Quale?
La contrattazione, che purtroppo ha perso terreno.
Può essere il punto di convergenza tra maggioranza e opposizioni?
Mi auguro che l’incontro che avverrà tra poco (n.d.a.: ieri per chi legge) non sia una semplice rappresentazione mediatica, nella quale il governo avanza una finta disponibilità al dialogo. Vorrei che fosse, piuttosto, l’occasione per approfondire il confronto su una materia complessa.
Quale suggerimento si sente di dare?
Prendere intanto una decisione. Costituire una commissione permanente di governo e Parlamento che, nei prossimi mesi, esamini l’argomento insieme alle parti sociali, le uniche ad avere il polso della situazione. Può essere il punto di partenza per affrontare tematiche come quella del salario minimo: partirei dal recepimento per legge delle tabelle salariali dei contratti leader e, naturalmente, dal cuneo fiscale, che va reso strutturale.
Come ha operato l’esecutivo Meloni, nei primi mesi, in materia di Lavoro?
La maggioranza, a parole, si è dichiarata per la tutela dei deboli, dei poveri e del lavoro. Nei fatti, ha obbedito a un impulso: soddisfare simbolicamente i desideri del proprio elettorato. L’andamento delle scelte, quindi, è stato contraddittorio.
Ci faccia un esempio…
Se sei a favore del lavoro di qualità, non puoi fare un decreto Lavoro che aumenta la possibilità di utilizzare i contratti a termine e i voucher. Se sei per la tutela dei più deboli non puoi cancellare il reddito di cittadinanza per mettere da parte alcuni miliardi a discapito di chi ne ha più bisogno, sostituendolo con un reddito di inclusione che per quanto riguarda l’occupabilità ha regole assurde.
Perché?
Un lavoratore di Palermo non può accettare un lavoro, se a tempo indeterminato, che gli viene offerto a Bolzano. È evidente che rifiuta. Il gioco non vale la candela. Allo stesso modo non può accettare una proposta a tempo determinato a 80 chilometri dalla sua abitazione. Faccio presente che, nel contratto dei metalmeccanici, normative di quel tipo prevedono nelle mobilità del lavoro un raggio massimo di 50 chilometri. Visto che il centrodestra vuole valorizzare la contrattazione, perché non fare riferimento a quanto è già contrattualmente stabilito?
Considerando una scelta di campo così netta da parte della maggioranza, i confronti, come l’ultimo a Palazzo Chigi, possono considerarsi realmente utili?
Se è il primo di una serie di incontri programmati può anche essere l’occasione per far venir meno le contraddizioni di una maggioranza che predica bene e razzola male.
La sinistra, invece, ha fatto il proprio dovere?
La sinistra ha fatto una giusta opposizione ad alcuni decreti come quello sul Lavoro, ma non ha spuntato risultati. La mossa relativa alla presentazione di una proposta, quasi unitaria, perché manca Renzi, sul salario minimo corrisponde al classico sasso nello stagno. Ben venga. Ha il pregio di far emergere il tema del lavoro povero.
A parte le rappresentazioni positive, su questo tema il Paese è indietro?
Pur aumentando l’occupazione dell’1,5%, dal pre-Covid a oggi, voglio ricordare che la media europea è del 2,9%. Siamo, quindi, sotto la media. É vero che il tasso di occupazione per quanto concerne l’età compresa fra i 20 e i 64 anni è arrivato, secondo Eurostat, al 66%. Un massimo storico. Davanti a noi, però, ci sono Spagna (70%) e Germania (l’81%). Siamo in fondo alla classifica e non avanti.
Quale la strada da seguire?
Fare meno enfasi ed essere più coerenti. L’opposizione deve puntare a far emergere le contraddizioni del governo.
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