Cronaca

Svolta nel caso Montanari: La pista del paziente insoddisfatto

di Rita Cavallaro -


Un paziente insoddisfatto, mai entrato nelle indagini, indagato dopo 42 anni per aver assassinato Giorgio Montanari. Si è riaperto così il cold case di Modena, l’omicidio del noto primario 51enne della clinica ostetrica ginecologica del Policlinico della città, ammazzato la sera dell’8 gennaio 1981, intorno alle 20, nel parcheggio della struttura sanitaria, subito dopo la fine del turno di servizio. Montanari fu freddato in quella gelida sera con una raffica di colpi di pistola, da un uomo che si dileguò nel buio e che, per quattro decenni, è rimasto impunito. Ma ora l’assassino potrebbe essere assicurato alla giustizia, grazie a nuovi elementi che condurrebbero alla pista, finora mai battuta, di un delitto maturato in ambito professionale.

A riaprire il fascicolo, dopo due inchieste finite con un nulla di fatto, è stata Antonella Delfino Pesce, la genetista dell’Università di Bari nota per aver dato una svolta, tra gli altri, all’omicidio irrisolto di Nada Cella, la 25enne uccisa a Chiavari il 6 maggio 1996. La criminologa, spulciando le migliaia di pagine del caso, ha setacciato le varie piste finché un dettaglio in un verbale di una persona ascoltata all’epoca dei fatti ha attirato la sua attenzione. E quell’elemento nelle carte ha permesso a Delfino Pesce di incastrare tutti i pezzi del puzzle, tanto da diventare l’elemento nuovo che, dopo 42 anni, ha portato la Procura a riaprire il cold case. I magistrati modenesi, dopo una serie di approfondimenti, hanno dunque iscritto nel registro degli indagati un uomo, sulla cui identità c’è il massimo riserbo. Sarebbe stato lui ad ammazzare, la sera dell’8 gennaio 1981, il professor Montanari. Il dottore aveva da poco finito il suo turno di servizio in ospedale quando, nel parcheggio, ebbe l’inaspettato incontro con il suo terribile destino. E cadde sotto una raffica di colpi, esplosi da una pistola calibro 38, un residuato bellico della Seconda Guerra Mondiale, da un assassino inesperto, che attese la vittima in quel parcheggio buio, forse per un chiarimento, e che sparò al ginecologo mentre il professore tentava di fuggire a bordo del suo Maggiolino.

L’ultimo proiettile, sparato da dietro, raggiunse il medico alla clavicola e per Montanari non ci fu scampo: venne trovato riverso sul volante, nel sangue, pochi minuti dopo, a seguito dell’allarme lanciato da una dipendente della clinica, un tecnico di laboratorio che si trovava sulla macchina contro la quale finì un’altra vettura tamponata dal Maggiolino, quando Montanari perse il controllo del mezzo. La donna disse di aver notato un’ombra fuggire nell’oscurità, ma non seppe fornire un identikit dell’assassino. Le indagini si concentrarono fin dalle prime battute sull’ambiente professionale perché proprio in quel momento, in Italia, era entrata in vigore la legge sull’aborto e Montanari aveva impostato la direzione del reparto modenese di Ostetricia lasciando la libertà di coscienza ai suoi collaboratori. Una scelta che aveva creato non pochi malumori tra i medici e gli infermieri della struttura sanitaria, sfociati anche in attriti tra chi era disposto a praticare l’aborto alle pazienti e chi non voleva a che saperne di eseguire la pratica. Montanari aveva tra l’altro ricevuto lettere anonime con minacce e perfino dei proiettili, per cui la linea abortista del direttore sanitario divenne la pista privilegiata. Tanto più che quell’ipotesi era condivisa pure dalla vedova del professore, Anna Ponti, oggi 93enne. Gli investigatori ascoltarono i colleghi della vittima. Medici, infermieri, personale sanitario e amministrativo, ma le testimonianze, oltre a rafforzare il clima di tensione scaturito dalla libertà di coscienza sull’aborto, non portarono a niente di rilevante.

Pure gli approfondimenti sugli incarichi ricoperti in precedenza dal 51enne, che aveva lavorato nelle zone di mafia della Sicilia, si conclusero in un nulla di fatto. E sul delitto calò il sipario. Il caso fu archiviato nel 1991, per essere poi riaperto nel 2017. Gli inquirenti analizzarono nuovamente i reperti catalogati e si focalizzarono sulla perizia balistica effettuata su un’arma compatibile con quella dell’omicidio, che ricostruiva non soltanto la traiettoria dei proiettili esplosi contro Montanari, ma l’ambientazione di come era avvenuto l’agguato nel suo complesso. Intorno alle 20 il dirigente sanitario aveva salutato i colleghi al termine del turno e si era diretto nel parcheggio, dove aveva cercato il suo Maggiolino, non ricordando con esattezza il punto in cui l’aveva parcheggiato. Salito in macchina, Montanari sarebbe stato avvicinato da un uomo che probabilmente conosceva, visto che avrebbe abbassato il finestrino per parlare con il suo interlocutore. Lì sarebbe scoppiata una discussione, al culmine della quale il killer avrebbe tirato fuori la pistola. Alla vista dell’arma, Montanari aveva ingranato la marcia per ripartire in tutta fretta, mentre l’uomo avrebbe cominciato a sparare, finché l’ultimo proiettile ha centrato il ginecologo, entrando dalla clavicola e conficcandosi nel cuore. A parte questo, il resto rimaneva avvolto nel mistero. E il fascicolo fu nuovamente chiuso. Ora la nuovo inchiesta, con la pista mai battuta e i primi indagati. Sugli aspetti investigativi e sull’identità dei sospettati c’è il massimo riserbo, ma la certezza è che la verità si nasconde in una cartella clinica. Inoltre il killer sarebbe ancora vivo. Un uomo convinto di essere vittima di un errore medico e che, accumulando rabbia per le sofferenze familiari, potrebbe aver deciso di lavare l’onta subita con l’assassinio del direttore del reparto di ginecologia.


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