Economia

Sapelli: “Non servirà a creare nuovo sviluppo ma la sinistra taccia, ha fatto errori”

di Edoardo Sirignano -


di EDOARDO SIRIGNANO

“Gli extraprofitti non serviranno a creare nuovo sviluppo, anzi fermeranno gli investimenti. La sinistra, però, taccia. Stiamo pagando gli errori del primo governo Prodi”. A dirlo l’economista Giulio Sapelli.

Perché la borsa non gradisce l’ultimo provvedimento voluto da Palazzo Chigi?

Non è una posizione di politica economica. Non ha alcun senso tassare gli extraprofitti. Voglio capire bene, innanzitutto, cosa intende la politica quando utilizza questo termine. A mio parere esistono solo i profitti.

In tal senso, però, si era espresso anche il precedente governo?

Mario Draghi, non molto competente a riguardo, voleva tassare gli extraprofitti del comparto energetico. La sua è una visione arcaica dell’economia, che non ha alcuna base scientifica. Si devono fare politiche industriali, invece, in grado di favorire una giusta tassazione. Tassare gli extraprofitti non serve a nulla. Lo dice chi, come me, crede nella responsabilità sociale dell’impresa. Ho speso tutta la mia vita per la corporate social responsibility. Un’azienda che guadagna molto può incamerare delle risorse per azioni che creano lavoro, sviluppo. Non è detto che in questo modo si aiuta lo sviluppo. A mio parere, anzi, accade il contrario. Siamo di fronte a un’operazione puramente demagogica, come quella del precedente esecutivo, pur essendo guidato da tecnici.

Perché ritiene pericolosa tale operazione?

Può scoraggiare una cosa di cui l’Italia ha urgentemente bisogno: gli investimenti esteri in Italia. Non si è mai visto nulla di tutto ciò in altre nazioni. Perché a queste latitudini vogliamo fare sempre gli esperimenti.

Ci sono, intanto, dei benefici per il governo. Le entrate, ad esempio, possono essere usate per finanziare opere ferme al palo…

Non c’è alcun beneficio. Si tratta della classica manovra per raccattare un po’ di voti in vista delle prossime elezioni europee. Non ci saranno grossi benefici, ma qualche sporadico introito per il governo. L’esecutivo spero faccia almeno delle opere pubbliche che servano realmente al Paese. Chiedere i soldi del Pnrr da parte dei passati governi ha fatto sì che siamo caduti in un baratro da cui è difficile venir fuori. La strada per salvarci, però, non sono certamente delle entrate fiscali estemporanee, che potranno solo scoraggiare nuovi investimenti.

Salvini sostiene che si tratta di un provvedimento all’insegna dell’equità. Ritiene sensate tali affermazioni?

L’equità è trovare, dare lavoro. Non è questa la strada. Lasciamo perdere le dichiarazioni del ministro delle Infrastrutture.

La sorprende che i 5 Stelle di Giuseppe Conte su questo punto si ritrovino in linea con la maggioranza?

Stiamo parlando di populisti, che trovano la loro forza sulla demagogia. Non c’è solo un anticapitalismo di sinistra. Ne abbiamo anche uno di destra, che ha basi storiche antichissime. Questa misura lo dimostra e i pentastellati si ritrovano su questa linea perché privi di una teoria a riguardo. È scandaloso. Il governo dovrebbe meditare sul fatto che su tale proposta si ritrovi quella mucillagine peristatica formata dai 5 Stelle.

I soldi di cui la maggioranza ha bisogno per aiutare un’Italia in netta difficoltà, però, dove prenderli?

Si possono fare degli anticipi di cassa. Il bilancio dello Stato non è come quello di un’impresa. Bisogna prevedere. Non si possono risolvere con una manovra fiscale le storture nello sviluppo o le disuguaglianze create in venti anni dai precedenti governi. Tutto quello a cui stiamo assistendo è il frutto delle scelte sbagliate dell’Ulivo. Non ci sono dubbi. C’è bisogno, purtroppo, di un lungo lavoro per riparare i danni commessi dal primo esecutivo Prodi. L’Italia, da quel momento, è stata massacrata. Ora possiamo solo rimboccarci le maniche e guardare avanti, senza correre troppo. Non si può rimediare ai problemi del Paese con operazioni come appunto quella degli extraprofitti. È profondamente sbagliato. Così non solo si rischia di non risalire la china, ma di ritrovarsi in un vicolo cieco, da cui è impossibile venirne fuori.


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