Attualità

Il governo sana le infrazioni con l’Ue ma a Bruxelles regna la burocrazia

di Redazione -


di FRANCESCO DA RIVA GRECHI

Mercoledì 2 agosto, la Camera ha approvato in via definitiva, con voto di fiducia chiesto dal Governo, il disegno di legge di conversione del decreto-legge 13 giugno 2023, n. 69, recante disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi derivanti da atti dell’Unione europea e da procedure di infrazione e pre-infrazione pendenti nei confronti dello Stato italiano.
La maggioranza esulta perché, pur tra un’ambiguità in Europa e un silenzio in Italia, il c.d. decreto infrazioni e la sua rapidissima conversione può essere portato ad esempio di un cambio di marcia nella politica di partecipazione e rispetto delle decisioni comunitarie.
Le ambiguità risiedono nel ruolo che il nostro paese effettivamente riveste nella politica “eurounitaria”. Giovedì 3, il Consiglio dei ministri, decideva sull’avvio della modifica della disciplina del controllo, dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento e l’ter del disegno di legge non è partito con la necessaria trasparenza.
Le reticenze riguardano invece l’onnipresente PNRR, dei quali impieghi, poco o nulla si conosce con precisione, visto che a malapena sono trapelate le notizie riguardanti i futuri progetti, rivisti e modificati, per i quali l’UE è ancora disposta a versare all’Italia le somme stanziate.

Ciò nonostante, si può senz’altro dare un plauso all’iniziativa del Governo, pur senza condividere l’esultanza del centrodestra per una sintonia con le istituzioni di Bruxelles tutta da dimostrare.
L’incerta democrazia dei 27 ha comunque bisogno come il pane di efficienza, legalità e rispetto delle decisioni. Migliorare le performance dei governi precedenti su questo versante non era affatto difficile ma non si può non avvertire un respiro diverso e nuovo.
D’altra parte, se le cifre dei procedimenti sanzionatori non lo smentissero avremmo tutti conferma della impressione di un popolo italiano disubbidiente, pasticcione a volte addirittura disonesto. In realtà non è così e questo aiuta la comunicazione “patriota” di Giorgia Meloni, che senz’altro ne rafforza la leadership.
A fronte, infatti, di 82 procedure di infrazione in corso contro il nostro paese, occorre considerare che la Spagna fa peggio con 100 e che superano l’Italia in questa classifica negativa anche Belgio, Bulgaria, Polonia e Grecia. E non si pensi che Germania e Francia siano esenti: la prima conta, infatti, 68 procedure di infrazione a proprio carico, mentre la seconda, 61.

Con questo decreto-legge e con le modifiche apportate al Senato si introducono nel nostro ordinamento, anche a seguito delle positive interlocuzioni con la Commissione europea, disposizioni che possono portare alla chiusura di circa 35 tra procedure di infrazione e pre-infrazione, ciò che consentirà di raggiungere in tempi ragionevolmente brevi, la media europea delle 66 infrazioni.
Il costo di queste condanne è ingente, come dichiarato durante il dibattito alla Camera: negli ultimi 10 anni, le infrazioni, ci sono costate oltre 800 milioni di euro ed è una grave colpa delle maggioranze parlamentari aver tralasciato materie così importanti.
Nel merito, le procedure affrontate e risolte con il D.L. convertito mercoledì, riguardavano per esempio i diversi fallimenti bancari che hanno letteralmente messo in ginocchio intere famiglie, che hanno visto scomparire i risparmi di una vita. A tal proposito, a protezione dei risparmiatori, l’articolo 1, comma 1, del provvedimento, introduce una nuova procedura che rafforza le garanzie dei depositanti nell’ipotesi del mancato rimborso dei medesimi da parte di una banca, predisponendo il coinvolgimento diretto della Banca d’Italia.

Altro aspetto importante toccato dal provvedimento riguarda la tutela dell’ambiente, sia per contrastare gli effetti negativi prodotti dall’alta concentrazione del gas radon in particolari territori, sia per favorire la realizzazione delle attività di tutela ambientale e sanitaria e di interventi di decarbonizzazione negli stabilimenti di interesse strategico nazionale. È il caso dell’Ilva di Taranto, oggetto di una procedura già aperta, che ha portato all’adozione di un serrato piano ambientale volto a limitare la quantità di produzione annua di acciaio a 6 milioni di tonnellate, fino al completamento di tutti gli interventi di risanamento ambientale.
Ovviamente, per tante procedure di infrazione affrontate, quasi il doppio debbono ancora essere risolte, nonostante procurino all’erario nazionale ed ai cittadini italiani costi inaccettabili.


Torna alle notizie in home