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IN GIUSTIZIA – Giallo d’estate: il nano di Termini

di Redazione -


IN GIUSTIZIA – Giallo d’estate: il nano di Termini.
di ELISABETTA ALDROVANDI

In un’epoca dominata dal politicamente corretto, la storia di oggi serve per capire quanta strada abbiamo percorso, se fino a pochi decenni fa a Roma c’era un uomo di bassa statura, decisamente al di sotto della media, che era soprannominato il “nano di Termini” per la sua abitudine di bazzicare nei pressi della stazione.
Nato a Brindisi nel 1946, non aveva avuto vita facile, Domenico Semeraro (perché così si chiamava, nella realtà). Accortosi, in fase adolescenziale, della sua diversità fisica rispetto ai coetanei che coglievano ogni occasione per sbeffeggiarlo, nasce in lui il timore di non poter vivere una relazione sentimentale “normale”, e così, una volta trasferito a Roma, si avventura in rapporti sessuali promiscui, accalappiando uomini e donne che vivono di altrettanta promiscuità, appunto vicino alla Stazione Termini. Lavora, Domenico. Fa l’imbalsamatore di animali morti. Ed è nel 1986 che, nel suo negozio, entra il diciassettenne Armando Lovaglio, in cerca di lavoro. In breve tempo tra i due nasce una relazione amorosa, fatta di giochi erotici, travestimenti, fotografie scattate in intimità, registrazioni audio in cui si parla di perversioni e droga. Tutto procede alla perfezione, fino a quando nella vita dei due irrompe Michela Palazzini, assunta da Domenico e che, in breve tempo, entra a far parte della comitiva, partecipando a festini e rapporti sessuali a tre. Ma Armando e Michela, col tempo, si innamorano, vorrebbero sganciarsi da quel rapporto percepito come invasivo e malsano, ma subiscono il ricatto di Domenico, che ha in mano materiale fotografico e registrazioni compromettenti, soprattutto per Armando. Sed tempus fugit, perché Michela resta incinta e Armando sente su di sé il peso di risolvere una situazione dalla quale non vede via di scampo, se non ricorrendo a un rimedio estremo e definitivo: l’assassinio di Domenico.
E così, il 26 aprile 1990, sotterrato in una discarica in zona Prenestina, alla periferia della città, il corpo del “Nano di Termini” viene rinvenuto in un sacco nero. Un corpo tumefatto, con evidenti segni di percosse violente e feroci da parte di qualcuno che si è accanito brutalmente contro di lui, che induce gli investigatori a fare luce sulla vita della vittima, che da subito si presenta oscura e ricca di particolari che risveglierebbero i peggiori istinti morbosi. In casa dell’uomo viene trovato materiale pornografico e oggetti per giochi erotici. Su di lui emergono segnalazioni alla magistratura per la sua personalità perversa. E le indagini portano alla luce denunce per emissioni di assegni scoperti e truffe. Insomma, il Semeraro, nella sua vita, si era fatto una discreta cerchia di inimicizie, e qualcuna di essere poteva essere sfociata in odio. In brevissimo tempo, però, le forze dell’ordine arrivano ad Armando e Michela, anche per le polizze vita che Domenico aveva stipulato in favore del ragazzo, e che potevano rappresentare un ottimo movente. Si recano a casa della madre del giovane, dove trovano entrambi. Lui, che aveva già confessato il delitto ai genitori, viene arrestato e condannato a quindici anni di carcere. Lei, data la sua incensuratezza e la sola attività di aiuto nell’occultamento di cadavere, riceverà una condanna a un anno di reclusione, con pena sospesa.
Una storia di degrado sociale e morale, che nasce nei meandri più bui della mente umana e trova linfa vitale nell’assenza di autostima e nell’incapacità della cerchia familiare di alimentare l’amore per se stessi indipendentemente dalle caratteristiche fisiche che possono, apparentemente, essere causa di svantaggio. Una storia che, al di là del tragico epilogo, deve far riflettere su quanto una parola offensiva, o la mancanza di un apprezzamento, possa, nel tempo, costruire muri di solitudine e di disprezzo verso il resto del genere umano.


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