Elezioni in Spagna, politologo Parsi: “Indeboliscono sia Schlein che Meloni”
di EDOARDO SIRIGNANO
“Dalla Spagna escono sconfitte sia Meloni che Schlein. Per Giorgia si complica il patto in Europa tra popolari e conservatori, mentre Sánchez ha dimostrato a Elly come la sua sinistra è lontana anni luce da quella che riesce a vincere in altri paesi del continente. Il suo partito non è andato a rimorchio di Podemos. Una lezione a quel Pd che va dietro ai 5 Stelle”. A dirlo Vittorio Emanuele Parsi, politologo e docente di Relazioni Internazionali nella facoltà di Scienze Politiche e Sociali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.
Il voto iberico quanto influisce sulle dinamiche politiche nazionali?
È la presa d’atto che non ci sono irreversibili sposamenti, a destra e sinistra, degli elettorati. Le leadership dei partiti, al contrario, sono in grado di intercettarli e appunto cambiarli. Il risultato più immediato comunque è che viene meno quella prospettiva che vedeva l’Italia come battistrada di un più ampio movimento europeo. Mi riferisco a una possibile alleanza tra il centrodestra e la destra. Questa opzione si indebolisce e non poco. Il modello Meloni è uno schema che funziona nell’Europa orientale e in Italia, ma non in altre realtà del Mediterraneo come la Spagna.
Perché?
Lì prevale la prudenza. C’è una sorta di preoccupazione da parte di chi non vuole fare un passo indietro. A quelle latitudini, prevale il timore per quel fascismo finito con la morte del suo capo negli anni 70 del secolo scorso. Ciò viene ritenuto un pericolo.
Si complica, intanto, una possibile alleanza a Bruxelles tra popolari e conservatori…
Penso proprio di sì! Ciò costituisce un’opportunità per ragionare in termini più ampi. I conservatori, rimasti nel Parlamento Europeo, hanno posizioni molto diverse da quelle che aveva il gruppo quando al suo interno c’era il movimento britannico. Questa è una ragione per cui Vox, probabilmente, ha perso voti a favore del partito popolare. Gli stessi elettori che avevano scelto una forma di protesta radicale nelle elezioni precedenti, preoccupati per una potenziale radicalizzazione del quadro politico, sono tornati dai popolari, mentre a sinistra c’è stata una fortissima ripresa di Sánchez.
Sánchez può dare una lezione alla sinistra italiana?
Certamente! Ha dimostrato di essere fortemente atlantista in una guerra scatenata da Putin. Allo stesso tempo, però, sui temi civili non ha fatto passi indietro, così come non li ha fatti su quelli del lavoro. Ha messo in piedi una piattaforma che non è andata a rimorchio di Podemos. Una lezione per quel Pd, che purtroppo troppo spesso va dietro ai 5 Stelle. Ciò è un segnale forte soprattutto verso Schlein, la quale pur mantenendo sui diritti civili e sul lavoro, ha più di qualche difficoltà sui temi della strutturazione del partito, della territorialità e della collocazione atlantista, timida e non forte come quella di Sánchez. La verità è che sia Meloni che Schlein escono indebolite dall’ultima tornata elettorale spagnola, dove non perde una sinistra coraggiosa, atlantica e riformista e in cui centristi riescono a spuntarla sulle posizioni radicali.
Non a caso il primo a esultare in Italia è Matteo Renzi?
Matteo esulta, ma per il suo partito cambierà poco. Stesso discorso vale per Forza Italia e Calenda. Moderatismo non significa conservazione.
I veri sconfitti sono i sondaggi. Sbagliate tutte le previsioni…
Fatto salvo le questioni interne che non conosco, ritengo che abbiano pesato e non poco le realtà autonomiste. In Catalogna, nei Baschi sono importanti. Ci sono, poi, le persone che hanno cambiato idea all’ultimo momento. Vox ha sbagliato a estremizzare. Pensava di allargare un bacino, invece ha finito con lo spaventare.
In questa situazione di estremo equilibrio meglio chiamare il Draghi di turno o tornare al voto?
Non credo che in Spagna ci sia una tradizione che possa rimandare alle esperienze Draghi o Monti. La Spagna ha problemi costituzionali molto forti, principalmente legati alla questione dell’indipendentismo catalano. Ecco perché, a quelle latitudini, serve un governo politico, pienamente insediato. Potrebbe esserci una grande coalizione o si tornerà, come è probabile che succeda, presto al voto. Vedo, invece, più difficile la possibilità per i popolari di formare un governo. Paradossalmente potrebbe essere più semplice per Sanchez. Stiamo parlando, comunque, di una situazione bloccata. Sbagliato, però, drammatizzare.
Perché?
Si è evitata una radicalizzazione nella polarizzazione. All’interno dei due schieramenti prevalgono le forze non radicali, aspetto certamente positivo.
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