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Intercettazioni, Santoro: “La Corte ha confermato lo strapotere dei Pm in Italia”

di Redazione -


di DONATO SANTORO

La Corte Costituzionale, in contrasto con la sua giurisprudenza, in data 20 luglio 2023, ha depositato la sentenza n. 157/2023, che ha definitivamente confermato lo strapotere dei PM in Italia. A seguito di tale sentenza il rischio è, infatti, quello che i parlamentari possano essere intercettati senza vere e proprie garanzie. Unico temperamento è che il Parlamento potrà, in sede di autorizzazione successiva all’uso della intercettazione già fatta, in ogni caso sindacare la legittimità o meno dell’intercettazione e quindi negare l’autorizzazione al suo utilizzo se la riterrà concessa contro legge: ecco perché nel caso specifico la Corte Costituzionale ha concluso rinviando il tutto alla Camera che dovrà decidere nuovamente se autorizzare o meno l’uso dell’intercettazione nei confronti del deputato Ferri, dovendo e potendo verificarne anche tutti i profili di legittimità. In caso di conflitto tra poteri, la parola finale spetterà al giudice costituzionale.

La Corte ha affermato che l’ intercettazione è valida se il PM – che ha disposto una intercettazione di un soggetto indagato – intercetta anche le comunicazioni del parlamentare estraneo all’indagine (che cioè non sia indagato, persona offesa o informata sui fatti).

In pratica, secondo questa sentenza, anche quando vi è la consapevolezza che l’atto di indagine possa captare conversazioni di un parlamentare non indagato, ciò è lecito perché se la “direzione dell’atto di indagine (…) non presuppone necessariamente la qualità di indagato (del parlamentare), è pur vero che l’assenza di tale qualità non può dirsi del tutto irrilevante quando (…) si registri il difetto di un qualsivoglia coinvolgimento del parlamentare nel processo penale (sia preventivo che successivo anche solo come persona offesa o informata sui fatti)”. In sintesi, quindi, se il parlamentare non è persona indagata, né persona offesa o informata sui fatti non può dirsi destinatario dell’atto di indagine e quindi è liberamente intercettabile.

Ebbene, fino a ieri la Corte Costituzionale aveva affermato esattamente il contrario, sostenendo che  la ratio dell’art 68 Cost è quella di “porre a riparo il parlamentare da illegittime interferenze giudiziarie sull’esercizio del suo mandato rappresentativo”, evitando il “il rischio che strumenti investigativi di particolare invasività o atti coercitivi delle sue libertà fondamentali possano essere impiegati con scopi persecutori, di condizionamento, o comunque estranei alle effettive esigenze della giurisdizione” (Corte Cost. sent. n. 390 del 2007)”; ciò al fine di “preservare a funzionalità, l’integrità di composizione (nel caso delle misure de libertate) e la piena autonomia decisionale, rispetto ad indebite invadenze del potere giudiziario” (Corte Cost. sent. n. 390 del 2007; v. anche sentenza n. 58 del 2004; ma vedi anche Corte di Cass. pen. 22.10.2010, n. 34244, che ancora più chiaramente afferma “In altre parole, ciò che conta “non è la titolarità o la disponibilità dell’utenza captata, ma la direzione dell’atto di indagine”: se quest’ultimo è volto, in concreto, ad accedere nella sfera delle comunicazioni del parlamentare, l’intercettazione non autorizzata è illegittima, a prescindere dal fatto che il procedimento riguardi terzi o che le utenze sottoposte a controllo appartengano a terzi (Corte Cost. sent. n. 390 del 2007)”).

In parole semplici, secondo la precedente granitica giurisprudenza non vi era alcun bisogno di intercettare il parlamentare quando le sue comunicazioni nulla avessero a che vedere con l’indagine e ciò al fine di tutelare la funzione del Parlamento (l’autorizzazione preventiva del parlamentare è necessaria sempre quando l’atto di indagine “è volto, in concreto, ad accedere nella sfera delle comunicazioni del parlamentare” (Cass citata, par. 7; anche Cass. 22.11.2016, n. 49538).

Ciò che secondo la precedente giurisprudenza contava era quindi il fatto che l’atto di indagine fosse destinato o meno a captare consapevolmente la comunicazione del parlamentare: ecco perché doveva prima intervenire il Parlamento, che doveva, appunto, verificare se tale interferenza poteva o meno ritenersi necessaria ai fini dell’indagine vista la natura di indagato, persona offesa o informata sui fatti del parlamentare.

Ebbene, ieri la Corte costituzionale ha affermato esattamente il contrario e cioè che i parlamentari, anche se nulla hanno a che vedere con l’indagine penale, potranno essere liberamente intercettati: ma se il parlamentare è estraneo all’indagine, che senso ha intercettarlo se non proprio perché si vuole invadere l’esercizio del mandato parlamentare!?

Si è in presenza di un clamoroso contrasto all’interno della giurisprudenza costituzionale, ciò confermato dal fatto che l’originario relatore del procedimento è stato sostituito all’ultimo da un relatore proveniente dalla Cassazione: con buona pace dell’equilibrio tra i poteri, il giudice ordinario ha quindi deciso che lo stesso giudice ordinario può tranquillamente intercettare i parlamentari ancorché del tutto estranei all’indagine.

E’, oramai, inevitabile che il Parlamento intervenga con una norma di interpretazione autentica della legge n. 140/2003, che ristabilisca la precedente giurisprudenza: ne va della libertà del Parlamento, della democrazia e in definitiva della libertà di tutti gli italiani.


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