Cultura & Spettacolo

Beethoven e quella diversa interpretazione del talento

di Redazione -


Beethoven e quella diversa interpretazione del talento.
di RICCARDO LENZI

Con una semplice ricerca su Youtube si possono ritrovare due interpretazioni dell'”Andante” della Sonata in do maggiore K545 di Mozart a cura di due sommi pianisti: Claudio Arrau e Glenn Gould.

Il primo suona questo movimento in 8 minuti e 18 secondi, il secondo in 2 minuti e 22 secondi. Come è possibile, se lo spartito è lo stesso per entrambi questi straordinari artisti? Leggendo il libro appena uscito per l’editore Zecchini, “Le Sinfonie numero 1 e 2 di Ludwig van Beethoven” di Andrea Montella, si può comprendere il perché. Si tratta di un confronto di registrazioni delle prime due sinfonie beethoveniane eseguite da quattro grandi direttori d’orchestra: Wilhelm Furtwängler, Otto Klemperer, Herbert von Karajan e Claudio Abbado. Dunque non esiste una sola lettura di una partitura, dunque il segno dell’autore può essere interpretato in maniera personale? Non esisterebbe pertanto un’unica interpretazione filologica pura.

Del resto proprio Glenn Gould ha dimostrato che Bach si può far rivivere senza utilizzare necessariamente il clavicembalo, giacché la restituzione sonora di una partitura considera l’idea di far rivivere un testo che già brilla di luce propria, al di là quindi degli strumenti pensati in origine dal compositore. Ne conseguirebbe che, ragionando in termini assoluti e paradossali, Arturo Benedetti Michelangeli si sbaglia quando pensa che si possa essere al servizio della musica e del “sacro spartito”, conseguenza di una specie di vocazione monastica. Nel corso del Novecento sono due le teorie ermeneutiche prevalenti: la teoria della “fedeltà al testo” e quella dell'”interpretazione creativa”. La prima comporterebbe un’eccessiva propensione verso il filologismo, un rispetto fin troppo meticoloso della partitura che però si mostrerebbe poco plausibile, in quanto il testo musicale è per sua natura ellittico e necessita costantemente del supporto creativo dell’esecutore. Per questo Furtwängler contestava duramente una gestualità statica, accademica, quella di Toscanini per intenderci, che egli considerava un mero battitore di tempo. Egli pensava che un gesto estremamente preciso avrebbe finito per spostare l’attenzione sul ritmo, frantumando le frasi melodiche, con un risultato sonoro insoddisfacente. Karajan a sua volta è la sintesi fra il mondo cosiddetto classico (Toscanini) e il mondo cosiddetto romantico (Furtwängler): del classico ama l’asciuttezza, la visione sintetica, temperata dalla raffinata ricerca del suono del romantico e da una libertà di scelta soggettiva. La sua visione delle due sinfonie di Beethoven si stacca dalla grande tradizione furtwangleriana in virtù di un approccio più oggettivo e strutturalistico. Esse risultano protese verso un’effige in cui le architetture musicali risultano equidistanti, perfettamente bilanciate, in cui i colori mettono in rilievo le misure strutturali degli elementi formali. Per Klemperer le caratteristiche della direzione possono racchiudersi nella peculiarità di un gesto morbido, avvolgente: con un passo sempre solenne non forzava gli attacchi e la sua lucida visione metteva a fuoco l’essenziale, magari sorvolando su qualche dettaglio. Egli ricerca nelle grandi arcate il maestoso, come cifra stilistica che identifica in Beethoven. Ne consegue che questi brani giovanili vengono trattati alla stregua delle opere maggiori, la cornice architettonica è possente, il respiro è ampio, senza trascurare il colore del suono, lucido e vivido. Claudio Abbado, in particolare nella seconda integrale delle sinfonie di Beethoven con i Berliner Philharmoniker, mirava a restituire tutta la modernità delle partiture che affrontava, sottolineandone le premonizioni del futuro in una sintesi prospettica precocemente arricchita da una rara sensibilità per gli elementi grotteschi della musica mahleriana e da un’acuta percezione dei contrasti dinamici e delle sfumature timbriche. Abbado è il più fedele esegeta della partitura beethoveniana, in particolare per quanto riguarda l’uso del tempo metronomico. Insomma, quattro interpretazioni di riferimento, pur diverse fra loro.


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