L’ANNIVERSARIO – 14 luglio 1948: l’attentato a Togliatti
14 luglio 1948, attentato a Togliatti. Sono le 11:45 quando il segretario del Partito Comunista Italiano, Palmiro Togliatti, che sta uscendo da palazzo Montecitorio dall’ingresso secondario di via della Missione, assieme alla compagna Leonilde Iotti, viene affrontato dallo studente siciliano di 24 anni Antonio Pallante che tira fuori una pistola e spara, Togliatti cade a terra colpito da tre dei quattro colpi esplosi dal suo aggressore, uno lo raggiunge alla base del cranio, uno al polmone sinistro, l’ultimo nella zona della milza. Viene chiamata un’ambulanza inizia una corsa disperata verso il policlinico. La situazione è molto grave per Togliatti e, molti temono, per L’Italia intera.
L’ombra della guerra civile
L’ombra della guerra civile, mai del tutto sopita, e della rivoluzione comunista, iniziò ad aleggiare sul nostro Paese. A beneficio dei più giovani, che non ricordano quegli anni turbolenti, facciamo un quadro sintetico della situazione. La Seconda Guerra Mondiale era finita da pochi anni e del Vecchio Continente rimanevano solo macerie, Il mondo si era da poco diviso in due blocchi, quello Comunista, raccolto intorno all’Unione Sovietica, e quello Occidentale attorno agli Usa. Negli anni successivi la divisione sarebbe stata ufficializzata con la nascita di alleanze contrapposte, il Patto di Varsavia e quello Atlantico. L’Italia è il Paese del blocco Occidentale con al suo interno il Partito Comunista più grande, al punto che potrebbe diventare forza di governo. Questo non vuol dire certo che una vittoria dei comunisti alle elezioni avrebbe potuto spostare l’Italia verso blocco orientale; basta aver frequentato anche una sola lezione di geopolitica per sapere che un Paese è incluso in una sfera d’influenza perché lo ha deciso chi, quella sfera, la governa e non certo il popolo o la dirigenza del suddetto Paese. Il blocco Occidentale si distingueva da quello Orientale per la presenza di governi democratici, democratici ma non certo liberi di muoversi a loro piacimento nello scacchiere mondiale, meno che mai quelli come il nostro, che la guerra l’avevano persa. Eppure l’Italia ribolliva di fermenti rivoluzionari, si vociferava di un fantomatico piano K col quale i Comunisti avrebbero iniziato la rivoluzione, ma le elezioni di aprile avevano visto la sconfitta del Fronte Popolare (Comunisti e socialisti) fermi al 30%, e superati abbondantemente dal 48% della DC. Due giorni prima dell’attentato, il parlamento, con voto contrario dei popolari, si era espresso a favore del Paino Marshall, il pacchetto di aiuti americano che avrebbe ulteriormente fatto pesare la bilancia dell’opinione pubblica verso gli Usa, e di riflesso, verso la DC. L’attentato a Togliatti innescò un’ondata di sdegno tra i suoi sostenitori, per molti sembrava l’occasione perfetta, l’evento che avrebbe dato la scossa anche agli indecisi e ai timorosi. E allora ci furono tafferugli di ogni genere, manifestazioni di piazza con anche scontri armati, infatti, molte armi della guerra erano ancora in giro tra la popolazione. La CGIL indisse uno sciopero generale, causando la scissione che portò alla nascita CISL. In ogni parte del Paese furono occupate le fabbriche, l’esercito venne mobilitato, le strade trasformate in campi di battaglia. La vita di Togliatti appesa ad un filo sembrava tenere in sospeso l’attimo dell’esplosione della rivolta, ed inoltre, la sua morte, data la gravità delle ferite riportate veniva considerata molto probabile. Ma questo non avvenne, il chirurgo Pietro Valdoni riuscì a salvare la vita a Togliatti, il quale in realtà, già nel momento in cui lo caricarono sull’ambulanza, disse ai suoi fedelissimi, Luigi Longo e Pietro Secchia: “State calmi, non fate sciocchezze”. Dopo l’esito dell’operazione e la trasmissione radio del primo messaggio di Togliatti dall’ospedale, le tensioni rientrarono con buona pace dei più facinorosi. Il tutto però, costò 16 morti e un numero imprecisato di feriti oltre a diverse migliaia di fermati. Qualche giorno dopo, quando ormai gli ultimi fuochi di rivolta si stavano spegnendo, arrivò l’ultima secchiata d’acqua sulle fiamme, un’impresa che focalizzò l’attenzione dell’Italia su vicende più gioiose: a 34 anni suonati, Gino Bartali fece un mezzo miracolo, recuperando in sole tre tappe il distacco di 20 minuti dal fuoriclasse Louis Bobet e andando a vincere il Tour de France. Non è mai stato ufficializzato ma pare che Alcide De Gasperi, segretario della DC, proprio in quei giorni telefonò al campione (che era un militante della DC e dell’Azione Cattolica) chiedendogli un grande sforzo, quello di regalare all’Italia quella vittoria che sembrava impossibile, per dare agli italiani il momento di gioia che mancava da troppi anni. Il giornalista Aldo Cazzullo ha dichiarato di aver chiesto a Maria Romana De Gasperi, primogenita del Leader DC e che era sempre con lui con il ruolo di segretaria, se tale legenda fosse vera, la donna ha dichiarato di non sapere se la telefonata ci sia stata o meno. Sta di fatto che Gino Bartali l’impresa la compì, provocando una vera e propria esplosione di giubilo nella popolazione italiana, che dimostrò di avere un bisogno disperato di gioire, di fare festa, di abbracciarsi superando le divisioni di parte ritrovandosi insieme sotto al tricolore. Alcuni hanno addirittura attribuito a tale vittoria la mancata rivoluzione, sicuramente una lettura esagerata, ma che rende bene l’idea del peso che un tale evento ebbe in quel momento specifico su una popolazione tanto stanca, quanto arrabbiata, come quella italiana del 1948.
Antonio Pallante, l’attentatore di Togliatti
Antonio Pallante, il ragazzo che aprì il fuoco contro il segretario del PCI, era un siciliano di 24 anni che si dichiarava “nazionalista esasperato”, monarchico, aveva militato nelle file della formazione politica “L’Uomo Qualunque”. Quando fu arrestato e processato dichiarò di aver agito da solo e di sua iniziativa con lo scopo di far fuori l’“agente di una potenza straniera che impediva il risorgere dell’Italia”, tale considerava Palmiro Togliatti.
Per racimolare i soldi necessari a raggiungere Roma e procurarsi una pistola, aveva chiesto prestiti a famigliari e parenti con la scusa di doversi recare nella Capitale per un possibile impiego. L’attentatore riuscì ad acquistare una Hopkink & Allen vecchia di 40 anni ma in buona efficienza, eccezion fatta per il grilletto eccessivamente duro. I proiettili invece, dalle successive perizie, pare fossero molto malandati, per questo non riuscirono a provocare danni mortali seppure colpirono ripetutamente il bersaglio. Considerare la faccenda il gesto di un folle sarebbe fuorviante, l’Italia era in un clima da guerra civile, stritolata, come altri Paesi, nelle tensioni internazionali, volavano parole grosse sia ai comizi che sui giornali, basti un esempio per darne la portata: il giorno prima dell’attentato, Carlo Andreoni, deputato social-democratico ed ex trotzkista, aveva scritto sul quotidiano L’Umanità, che il popolo italiano, prima che i comunisti lo vendessero ai russi, avrebbe avuto il coraggio “di inchiodare al muro Togliatti e i suoi complici non solo metaforicamente”.
Gino Zaccari
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