di EDOARDO SIRIGNANO
“Basta demonizzare social e i giovani. Gli idioti sono sempre esistiti. Sbagliato, però, immaginare gare senza avere le prove o far passare un’intera generazione per vandali. Si danneggia l’Italia”. Così il noto sociologo Domenico De Masi commenta l’incendio della Venere degli stracci, avvenuto a Napoli.
Che significato ha questo rogo, probabilmente doloso?
Il rogo, se si pensa bene, completa l’opera di Pistoletto. È una fine quasi auspicabile per un lavoro come quello dell’artista di Biella. L’atto di bruciarla è quasi come l’ultima parte di un qualcosa di sublime. L’arte povera, poi, per sua natura, finisce tra le fiamme. C’è poco da fare.
Possiamo, quindi, definirlo un gesto intelligente?
Assolutamente no! Stiamo parlando di un’idiozia. Senza volerlo, però, consente di dare un senso a un capolavoro. Basta, d’altronde, pensare a cosa è l’arte povera, al suo scopo, ovvero quello di dar voce a oggetti ed eventi che per loro natura non ne hanno. Se, inoltre, viviamo e conosciamo il contesto povero sappiamo che spesso termina con la distruzione. Un esempio è guardare quanto accade nelle periferie delle grandi metropoli. Il Bronx si distingue, appunto, per i palazzi bruciati.
Così, però, si è distrutto un qualcosa di unico…
Le Veneri degli stracci sono tante. Non stiamo parlando della Gioconda. Non è stata distrutta un’opera unica.
Si parla, intanto, di gara social. In questo caso, i colpevoli sono quelle piattaforme ormai diventate una Bibbia per le nuove generazioni?
In questo caso, i social non c’entrano nulla. Sono solo ipotesi giornalistiche, che nulla hanno a che vedere con le realtà. Bisogna avere delle prove prima di fare ricostruzioni o analisi. Al momento non ve ne sono.
Le nuove tecnologie, però, talvolta sono al centro di tragedie o eventi spiacevoli. Basti pensare a quanto accaduto a Casal Palocco…
Sono favorevole ai social, alle nuove tecnologie. Reputo che hanno cambiato in meglio la vita della maggioranza delle persone. Migliaia di rapporti umani non sarebbero nati senza di loro. Quando non c’erano Facebook, Twitter, Instagram, gli unici modi di comunicare erano la lettera o il telefono. Quest’ultimo, però, era un lusso per pochi. Lo smartphone, invece, lo hanno tutti. Ecco perché i vantaggi dei social sono infiniti. Detto ciò, anche con le missive, si poteva trasmettere sia odio che amore. Pure con la corrente posso illuminare un palazzo o uccidere una persona mediante la sedia elettrica.
Serve, comunque, educare influencer che possono diventare pericolosi per gli altri…
Ci vorrebbe un’educazione per i sociologi, i giornalisti e tanti altri. Finiamola col demonizzare il progresso. Le tragedie e gli idioti c’erano anche quando non si poteva filmare col telefonino. Con questo non voglio ovviamente difendere competizioni assurde e idiote.
Ci sono dati che valgono più di mille parole. In italiano e matematica uno studente su due è insufficiente. A dirlo le ultime prove Invalsi. Ciò non è certamente un segnale incoraggiante…
Tenga conto che cento anni fa erano novantanove su cento i ragazzi insufficienti. Sono da mezzo secolo nelle scuole e posso dire che ogni anno vedo allievi migliori rispetto a quello precedente. Non tutti i giovani sono fannulloni, come qualcuno vuol far passare. Esiste una percentuale di adolescenti svogliati, così come c’è un’altra che si rimbocca le maniche, si impegna e porta avanti il Paese.
A proposito di istruzione, tanti, soprattutto al Sud, quelli che dopo aver letto un testo non riescono a comprenderlo…
Subito dopo la guerra, in Italia più del cinquanta per cento dei giovani erano analfabeti. Ora siamo al tre per cento. Non c’è dubbio, quindi, che la situazione è migliorata. I numeri relativi a coloro che vanno a scuola sono molto più alti rispetto a quelli di un tempo.
Il governo, pertanto, si può rilassare su un tema così delicato?
La politica deve fare ancora moltissimo. Non si deve guardare indietro, ma piuttosto avanti. I paragoni occorre farli con paesi il cui indice di analfabetismo è più basso rispetto a quello italiano. Basti pensare alla tecnologia, dove ne abbiamo di terreno da recuperare. In Italia i laureati rappresentano il 23 per cento della popolazione. In California sono l’89 per cento. Il modello americano, quindi, è quello da seguire.