I CONSIGLI DEL LIBRAIO – Quella Kate unica al mondo che si cela dentro ogni lettore
di GABRIELE GRAZI
In una delle precedenti recensioni vi parlai di opera-mondo a proposito del Viaggiatore del Secolo. Oggi approfondiremo un’opera diametralmente opposta, dove i requisiti tecnici del postmodernismo diventano centrali. In particolare due archetipi di questo modo di intendere il romanzo: in primo luogo il caos primigenio. Il mondo non è comprensibile nella sua interezza, e men che mai la psiche, siamo naufraghi tra le rovine. Non c’è ricetta, non vi è possibilità artistica di rimediare a questa frammentazione del monolite positivista in una serie di infinite trottole che si avvitano su sé stesse, come i destini umani. In secondo luogo la dimensione introspettiva. Si scandaglia l’animo, ma questa ricerca sovente ci conduce a scoperchiare quel lampo di pazzia che invade tutto il resto con il suo fuoco divoratore.
In questo romanzo seguiamo il flusso di coscienza di Kate che ci dice essere l’unica persona presente in tutto il mondo. Negli anni lo ha attraversato e ci conduce attraverso lande desolate dove solo l’arte che si è salvata riesce forse ancora ad instaurare uno scampolo di dialogo. Questo ovviamente giorno dopo giorno non può non farla sprofondare in una lucida follia, dove ombre richiamano infiniti richiami in un gioco di calembour di significati, anch’esso proprio del postmodernismo. Il libro ha moltissime chiavi di lettura perché è coltissimo e servirebbero giorni per estrarne tutti i riferimenti culturali, dal dichiarato Wittgenstein a Baudrillard con i suoi simulacri, alla formula del solipsismo. Ma Kate è veramente l’unica sopravvissuta in un mondo dove è scomparsa ogni traccia di corpi umani o siamo all’interno del baratro della sua psiche? E la differenza tra le due opzioni è così profonda e soprattutto così interessante?
Questo libro è stato rifiutato per oltre 40 volte prima di essere pubblicato negli anni Ottanta. E la spinta per la popolarità a livello internazionale l’ha ricevuta dalla straordinaria recensione (temo persino migliore della mia!) di David Foster Wallace, che trovate nell’edizione italiana come postfazione. E’ il momento di confrontarsi con il dominus intellettuale di questa operazione: Ludwig Wittgenstein e con il suo Tractatus logico-philosophicus. “6.54 Le mie proposizioni delucidano così: colui che mi comprende le riconosce, alla fine, come insensate, se è salito per esse – su di esse – oltre esse. (Deve, per così dire, gettar via la scala dopo che c’è salito.) Deve superare queste proposizioni, e allora vede il mondo nella giusta maniera. 7 Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere”. Un consiglio su come leggere questo libro che è una domanda: in un mondo assediato di parole, di immagini che vogliono suggerircene altrettante, una reale comunicazione è ancora possibile? Quando lo avete fatto l’ultima volta? Quando avete sul serio parlato con qualcuno, di qualcosa di importante, ma non di lavoro, di occupazioni, di cose trivialmente quotidiane, bensì del vostro modo di intendere il mondo, dei vostri reali sentimenti, in una comunione di spiriti e intelletti, con un reale scambio. Se vi capita spesso buon per voi, altrimenti temo che nel profondo possiamo essere tutti delle piccole Kate.
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