Ecco le ragioni della rivolta in Francia e perché da noi non succederà
di DOMENICO FRACCHIOLLA
Quanto accaduto in Francia rappresenta plasticamente la lunga fase di crisi che le società occidentali stanno sperimentando, nel tentativo, spesso maldestro, di rispondere alle sfide della contemporaneità del XXI secolo. Gli incidenti degli ultimi giorni si collegano a episodi gravi e molto gravi, che ormai ciclicamente hanno scosso la Francia, che seguendo la tradizione di cambiamenti bruschi e a volte non rivoluzionari destano preoccupazione in Europa.
Il modello di francese si basa per tradizione sull’appartenenza alla civiltà francese, alla quale si aderisce con processi e pratiche di integrazione. Parliamo di un modello ambizioso che pone al centro la comune appartenenza alla nazione, di cui si condividono determinati valori di cittadinanza. Per alimentarlo servono politiche attive efficaci e costose, che puntino non solo alla riqualificazione urbanistica, come avvneuto dopo le rivolte del 2005, ma all0integrazione economica, sociale e culturale del Cittadino. Questo modello è andato in crisi da tempo per diversi motivi: politici, economici e culturali. In primo luogo venuto a mancare il sogno francese di una vita migliore che affascinava gli immigrant di prima generazione, disposti a ssacrifici in nome della promessa di emancipazione, per se e per I propri figli.
Le risposte della politica francese alle difficoltà economiche e sociali hanno sacrificato la promozione dei segmenti più fragile della società, coportando l’impoverimento anche delle classi medie, chiedendo sacrifice a tutti sull’altare del commune superiore interesse del mantenimento del modello di economia francese misto che con difficoltà superava le prove degli utlimi decenni.
Oggi Macron non può dispensare lezioni a nessuno, tantomeno all’Italia. Detto ciò, è sbagliato fare paragoni tra la Francia e il nostro Paese. La promessa mancata di genrazioni di immigrati in Italia non c’è, vi sono altri problemi ben noti con l’immigrazione da risolvere, ugualmente significativi, ma meno gravi da questo punto di vista.
Diversi sono gli esempi di successo, le storie di immigranti contenti all’interno delle proprie comunità. Ciò non significa che tutto è perfetto. Basti pensare ai braccianti, dove spesso a causa di politiche sbagliate, ci sono tanti lavoratori, che pur essendo da decenni nei nostri campi ancora non riescono a far sentire la loro voce.
La qualità dell’immigrazione, però, nello stivale è totalmente diversa rispetto a quella transalpina. I flussi sono minori e gestiti meglio. I Populismi, che sembravano poter risolvere queste situazioni di scollamento tra cittadini e politica, hanno finito col creare instabilità. La soluzione per i disordini non è certamente sostituire Macron con Le Pen. Stiamo parlando di un problema profondo. La verità è che c’è una popolazione che non si sente più rappresentata. I partiti, a Parigi, sono in crisi. Non sono in grado di elaborare progetti per l’avvenire. Ecco perché un popolo disperato, non sapendo cosa fare, scende in piazza e senza volerlo, talvolta, finisce col creare disordini e instabilità.
I modelli alternativi del multiculturalismo anglosassone, basato sulla convivenza tra comunità separate che vivono fianco a fianco, rispettandosi e rispettando regole comunni, presenta anch’esso altri problemi. Con alti e bassi, tale modello continua anche a funzionare, ma si registrono cortociruiti preoccpuanti. Mi riferisco alle situazioni endemiche di mancata emancipazione, come accade negli Stati Uniti quando esplodono violenze contro le comunità afroamericane.
*Docente di sociologia delle relazioni internazionali alla Luiss e professore associato all’Università Mercatorum di storia delle Relazioni Internazionali
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