Editoriale

Il nostro Titanic

di Tommaso Cerno -

Tommaso Cerno


di TOMMASO CERNO

Poteva cedere. Perdeva pezzi. Non era una struttura sicura. L’acqua è diventata una trappola mortale. Sembrano le testimonianze degli ex passeggeri del Titan, il sommergibile disperso, ma sono terribilmente simili a quelle sul ponte Morandi. Già. L’angoscia del mondo per quei cinque turisti ricchi che hanno speso 250 mila dollari a testa per scendere a quasi quattro mila metri sotto l’Oceano Atlantico e vedere con i propri occhi il relitto del Titanic, il naufragio che ha cambiato la storia dell’uomo, è quella di un macabro reality a cui si aggiungono ora dopo ora dettagli inquietanti.

Ormai è evidente che il battiscafo Titan non era idoneo a quella missione estrema. Ed è anche evidente che questo dato certo non è l’esito di una dettagliata perizia sui materiali, effettuata nei laboratori di qualche istituto di certificazione, bensì la testimonianza in chiaro di ex dipendenti dell’azienda stessa che proponeva il viaggio subacqueo, gente che aveva segnalato i problemi e i pericoli ed era stata zittita. E ancora dei passeggeri che già l’avevano vissuta quell’esperienza e che raccontano di mille problemi avuti durante l’immersione, addirittura di un altro tycon iscritto per quell’ultima maledetta immersione e che rinunciò 24 ore prima della partenza proprio perché aveva capito che qualcosa non andava.

Ecco, fa venire i brividi pensare che questo stesso tipo di testimonianze, fatte da ex dipendenti che abbaiavano alla Luna così come di segnalazioni su pericoli e strutture inadeguate, somiglino qui da noi a quelle che stanno emergendo dalle carte dell’inchiesta sul crollo del ponte Morandi di Genova alle 11.36 di quel 18 agosto 2018 quando sotto una pioggia battente la sezione di 250 metri del viadotto che passava sul fiume a Sampierdarena collassò insieme al pilone di sostegno numero 9 provocando la morte di 43 persone.

Il nostro Titanic non aveva bisogno nemmeno del coraggio di chi vuole sfidare l’estremo e mette in conto la morte. Non aveva bisogno di essere l’esito di una impresa umana che fallisse. No, il nostro Titanic fatto di pressapochismo, di incuria, di omissioni è calato sulla vita quotidiana di persone normali, che andavano al lavoro o si spostavano in auto, senza immaginare che di fronte a loro ci fosse quella trappola mortale frutto delle peggiori abitudini deviate di questo Paese che a parole e nelle scartoffie è meticoloso e estenuante ma nella realtà è lasciato a se stesso.

Così come l’Italia sommersa dalle alluvioni, quella dove si scopre sempre dopo che nulla era stato fatto e che tutto si sapeva prima. No, noi non abbiamo bisogno di sfidare la sorte, noi il Titanic lo lasciamo navigare nella quotidianità, girandoci dall’altra parte, pensando che in fondo se non è mai capitato nulla prima, perché dovrebbe capitare adesso.

E perché proprio qui e adesso. E perché proprio a noi. Eppure la nostra attenzione non è così morbosa come lo è diventata in poche ore per quel sottomarino un po’ sbilenco che si è perso sul fondo dell’Oceano in un destino che con il Titanic ha molto più a che fare della gita subacquea che i cinque sfortunati avevano immaginato di vivere. Dura qualche ora. Poi si spegne. E il viaggio ricomincia fino al prossimo disastro.


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