Il caso youtuber, Cangini: “Ora regole reali per fermare i pericoli del mondo virtuale”
ANDREA CANGINI POLITICO
Una morte per una challenge social. Questo è quello che si cela dietro all’incidente avvenuto a Roma martedì e mostra una delle conseguenze che il mondo (distorto) del web porta nella vita reale. “Assistiamo a un decadimento mentale di intere generazioni e non possiamo far finta che non sia colpa nostra”. A dirlo Andrea Cangini, Segretario Generale della Fondazione Luigi Einaudi e autore del libro CocaWeb. Una generazione da salvare che mostra l’impatto delòa tecnologia digitale sui giovani.
Perché questo libro?
Parte da una indagine conoscitiva promossa all’inizio della scorsa legislatura in Commissione Istruzione del Senato. Abbiamo invitato neurologi, psicologi, psichiatri, pedagogisti ed esperti delle forze dell’ordine e ne è uscito un quadro drammatico: si stanno perdendo facoltà mentali essenziali, come la capacità di attenzione, di memoria, di concentrazione. Le generazioni attuali hanno un quoziente intellettivo più basso rispetto alle generazioni precedenti. Non era mai successo nella storia umana e inoltre, di moltiplicano anno dopo anno i segni di disagio giovanile – disturbi alimentari, autolesionismo, tentativi di suicidio, aggressività, depressione.
Fenomeno legato alla tecnologia?
Tutto è cominciato da quando le console per i videogiochi (prima) e gli smartphone (poi) sono entrati nelle disponibilità dei ragazzi. A ciò si aggiunge il fenomeno emulativo – tra cui le challenge – del web. Parliamo di un pubblico giovanissimo – con uno spirito critico e una consapevolezza inadeguati – raccolto in una serie di community (comunità del web) che considerano normale quello che normale non è e che incoraggiano e incentivano a sfide e comportamenti pericolosi.
Si può parlare di un mondo parallelo?
I giovani hanno sempre vissuto in mondi paralleli, e per età sono sempre stati tendenzialmente irresponsabili, è naturale che sia così. Ma oggi questo aspetto viene accentuato da possibilità che prima non c’erano. E se non sembra illiberale vietare sotto una certa età il consumo di alcol, o il fumo, o ad esempio la guida dell’auto, non dovrebbe esserlo limitare l’accesso ai social. Esiste già una normativa europea che impone il limite dei 16 anni per potersi iscrivere a un social. In Italia l’abbiamo recepita al ribasso, (13 anni), ma l’87% dei minori di 13 anni è iscritto al social e ciò significa che il controllo sull’identità non funziona. Basterebbe applicare le norme esistenti, ma anche, poi, ragionare per divieti. Tutta la letteratura scientifica dice che la tecnologia digitale al di sotto di una certa età è dannosa e produce scompensi neurologici irrecuperabili. Il cervello è un muscolo che si sviluppa se esercitato e tutto quello che si fa sul web non stimola l’attività cerebrale: perciò assistiamo a un decadimento mentale, e spesso fisico, di intere generazioni e non possiamo far finta che non sia colpa nostra.
Si può parlare di una sottovalutazione del fenomeno?
La politica di solito evita questi temi: in primis si teme di alienarsi il voto dei giovani, ma anche di passare da censori illiberali. Inoltre, vi è ancora l’idea che il mondo dei social realizzi una società libera con grandi opportunità, come si era ipotizzata all’inizio: in realtà sta accadendo il contrario. Infine, quella dei giganti del web è la più grande lobby della storia: mai un numero così ristretto di uomini hanno avuto un potere economico e di condizionamento delle coscienze così ampio.
Esiste una via d’uscita da questo circolo vizioso?
È necessario che le compagnie del web vengano obbligate ad assumersi le responsabilità di quello che avviene all’interno dei loro canali. Bisogna trasferire nel mondo virtuale quelle norme e responsabilità che nel corso del tempo abbiamo introdotto nel mondo reale.
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