Se il trapianto di fegato corre sulla Milano-Udine. Intervista al professor Risaliti
“Sono serviti anni e una legge, ma l’evoluzione dei trapianti è stata rapida e siamo arrivati oggi a un numero di donatori che raggiunge e supera i 25 donatori per milione di abitanti”. A parlarne, il professore Andrea Risaliti, direttore del centro trapianti di Udine.
“La storia dei trapianti di fegato è recente, i primi passi risalgono attorno al 1950. Il primo trapianto di fegato risale al 1967 e venne eseguito a Denver (Colorado) da Thomas E. Starzl, che per primo operò un afroamericano affetto da neoplasia al fegato, non operabile. In realtà nessuno ci credeva al successo di questo tipo di operazione, anzi la comunità scientifica lo riteneva impossibile. Da un periodo sperimentale storico, che comincia nel 1967, si arriva progressivamente al giorno d’oggi, con tecnologie cambiate a regole cambiate ma avendo alle spalle il lavoro fatto dai precursori: perché il futuro si basa sul passato”.
A che punto siamo oggi in Italia?
C’è da dire che anche in Italia si è iniziato tardivamente, negli anni ’80. E la prima struttura a fare il trapianto fu il Policlinico Umberto I, da donazione fatta a Birmingham. Ad oggi in Italia si eseguono all’incirca più di mille trapianti di fegato ogni anno, un numero importante che ci porta ad essere i secondi in Europa, solo dietro la Francia. C’è da dire che i dati sono legati al numero di donatori, perché “non esiste trapianto senza donatore” e per questo è necessario sensibilizzare la popolazione alla volontà del dono.
Si è avuta una evoluzione in tal senso, lato donatore?
Se partiamo dai primi esordi, quando la donazione era di organi era minima, non avevamo legge specifica. Sono serviti anni e una legge, ma l’evoluzione è stata rapida e siamo arrivati oggi a un numero di donatori che raggiunge e supera i 25 donatori per milione di abitanti. Una media italiana che è trainata da alcune regioni, come il Friuli Venezia-Giulia, che supera i 30 donatori per milione. In ogni caso, in tutta Italia vi è un aumento della volontà di donazione e abbiamo raggiunto un buon livello europeo, superiore a Inghilterra, Germania, Francia e inferiore solo a Portogallo e Spagna. È una media buona che ci consente di fare, ad esempio, oltre 1300 trapianti di fegato e oltre 3500 trapianti di rene all’anno. E difatti, se prima alcuni pazienti dall’Italia si recavano all’estero per essere operati, ora molti pazienti europei arrivano nel nostro Paese per sottoporsi al trapianto. Chiaramente, la domanda supera sempre l’offerta: ci sono meno donatori rispetto alla richiesta di trapianti.
Quando si opta per un trapianto di fegato?
Le indicazioni sono cambiate negli anni, ma la patologia principe è la cirrosi epatica. Una malattia terminale che significa insufficienza del fegato (a seguito di una malattia di tipo virale) e per cui non esiste una terapia che la possa curare e per questo si opta per il trapianto di fegato. Poi, ci sono i casi legati ai tumori: principalmente per l’epatocarcinoma, quel tumore che nell’80% dei casi nasce su un fegato cirrotico e che ne peggiora la prognosi, e per il 20% si manifesta su un fegato sano. Non molto tempo fa, molte altre neoplasie sono state ritenute non trapiantabili perché dotate di una aggressività particolare e ritenute soggette a recidiva. Oggi le cose sono cambiate. Ad esempio, il colangiocarcinoma era ritenuto inoperabile, ma grazie all’ausilio di nuovi farmaci immunosoppressori e nuovi tipi di radioterapia, oggi si possono ipotizzare anche in questi casi i trapianti. Altro esempio è rappresentato dalle metastasi epatiche da tumore colorettale o da tumore neuroendocrino, molto più raro. Oggi anche questo tipo di trapianto è diventato una possibilità e ci sono molti centri al mondo che stanno sperimentando.
Anche in Italia?
Sì, anche noi di Udine facciamo parte di uno studio che nasce dal centro tumori di Milano per costruire un pool di casi per la costruzione di un protocollo e di una esperienza italiana, in tal senso, ed è guidato dal professore Vincenzo Mazzaferro. L’obiettivo di questo studio è quello di verificare i risultati a distanza in un paziente minato dal tumore con metastasi epatiche ritenute non operabili, in una fase di relativa stabilità e capire se, rispettando alcuni criteri, con il trapianto di fegato concediamo al paziente una sopravvivenza più lunga. Rispetto agli anni ’80, quando la metastasi epatica dava una aspettativa di vita non superiore a sei mesi, oggi possiamo garantire aspettative di vita ben più lunghe.
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